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L'ARRAMPICAZZO IN LIBRERIA – LISA HILTON: “ESSERE FEMMINISTE OGGI SIGNIFICA ESSERE PADRONE DEL PROPRIO CORPO. METTETEVI UNA MANO NELLE MUTANDE E OCCUPATEVI DELLA VOSTRA VAGINA” – NEL SUO LIBRO “MAESTRA” LA PROTAGONISTA USA GLI UOMINI PER AVANZARE NELLA SOCIETA’
1 - LA PROTAGONISTA JUDITH: EMANCIPATA OD OTTOCENTESCA?
Da "LA LETTURA"- “Corriere della Sera”
Judith Rashleigh, la protagonista del thriller erotico Maestra di Lisa Hilton, è una ventenne spregiudicata, che gestisce il corpo con libertà e usa gli uomini per avanzare economicamente e socialmente. «Le giovani hanno trovato il libro incoraggiante e Judith un personaggio da cui trarre ispirazione e forza», dice Hilton al britannico «Telegraph».
Ma la sua protagonista è destinata a dividere. È davvero emancipata o non fa altro che piegarsi a un sistema di potere in mano agli uomini? Da qui a un anno il libro uscirà in 36 Paesi e alcune reazioni ci sono già (in Gran Bretagna e Francia è stato pubblicato il 10 marzo, negli Stati Uniti il 19 aprile). La prima riflessione - ad esempio su «Le Figaro» - è chiedersi se Maestra , volume numero uno di una trilogia, già destinato a diventare un film, sia il nuovo Cinquanta sfumature. Il quotidiano francese riporta la risposta della Hilton: «Quella della James è una storia per bambini!».
Judith non è Anastasia, l' ingenua innamorata da iniziare al sesso. In Maestra non c' è spazio per i sentimenti ed è sempre la protagonista a tenere in mano la regia. Anche se questo non equivale a dire che sia davvero libera. «Molte sfumature di choc» s' intitola la recensione di Stephanie Merritt sul «Guardian», secondo la quale Hilton «rispedisce l' emancipazione femminile al XIX secolo»: «Le donne in Maestra non hanno potere o status che non sia conferito dal sesso, da quanto siano desiderabili e dalla loro volontà di trarne vantaggio».
E Janet Maslin sul «New York Times» scrive che «le donne in questo volume non hanno autonomia. Il loro unico modo di mantenersi è scucire soldi a uomini potenti». Parlando a «la Lettura» in un video online da oggi, 24 aprile, sul sito del supplemento (corriere.it/lalettura ), l' autrice risponde che il suo è «un libro d' intrattenimento, non un saggio sulla questione femminile» e che si è ispirata a un mondo che nella realtà esiste davvero: «Chi pensa di no, vada a St. Moritz d' inverno o a Saint-Tropez d' estate». (a. ras.)
2 - IL PROBLEMA E’ CHE SONO UNA DONNA
Testo di Lisa Hilton pubblicato Da "LA LETTURA" - “Corriere della Sera”
Ho pubblicato un romanzo di recente e ho avuto la fortuna di occuparmi io stessa in larga parte della promozione. Poiché non possiedo un guardaroba speciale, tranne un abitino da sera con le paillettes, firmato Saint Laurent, e un paio di pantaloni di felpa, due amiche si sono precipitate a casa mia con una bracciata di indumenti per venirmi in aiuto.
«Non voglio mettermi questa roba», ho detto, ispezionando una gonna midi dall' aspetto pratico e una giacca di tweed grigia e assai noiosa. «Non mi va di apparire ragionevole e dimessa. Io voglio dare l' immagine di una donna forte ed elegante - e perché no, anche sexy». «Non puoi», mi hanno ammonito le amiche, «perché allora sarai odiata da tutti».
Ho fatto il broncio. «Ma di che parliamo? Qui non si tratta certo del mio aspetto, io voglio lanciare il mio libro». «Ma sei una donna», mi hanno fatto notare, «perciò non ti fare illusioni. Devi apparire morbida e femminile, abbordabile».
Avevano ragione le mie amiche. Il punto era proprio il mio aspetto e mi sono fatta odiare da tutti. Quando sceglievo un abbigliamento comodo e modesto, mi descrivevano come «una bruttina dall' aria furbetta». Quando mi sono fatta fotografare con un Burberry rosso e un paio di Louboutin per la copertina del «Times Magazine», mi sono piovute addosso mail anonime che mi tacciavano di puttana.
Niente di meglio a colazione, la domenica mattina. Per qualche oscuro motivo, l' aver scritto un bestseller di successo, poi acquistato da Hollywood, diventava motivo non di congratulazioni, bensì di disprezzo. Essere una donna che scrive di sesso in un' opera di finzione narrativa significava che la mia vita privata era spalancata a ogni sguardo inquisitore.
«Mi dica, Lisa», voleva sapere il giornalista del «Daily Mail», «con quanti uomini è andata a letto?». Nessuno in Inghilterra mi ha mai chiesto se il mio romanzo fosse una satira sociale o una riflessione politica sulla meritocrazia, o semplicemente una forma di divertente evasione. Insistevano per sapere ogni dettaglio sul mio divorzio, sui miei nuovi compagni, fino a che punto il libro poteva dirsi autobiografico - quasi che una scrittrice non fosse in grado di inventarsi qualcosa di sana pianta.
Ma a che pro lamentarmi: avevo scritto un romanzo e ovviamente volevo fargli pubblicità. Era stata mia la decisione di partecipare alle interviste, benché molti commenti si fossero rivelati, oltre che sgradevoli, anche offensivi. In teoria, mi ritengo una donna emancipata. Sono figlia di una delle più raffinate democrazie occidentali, quella inglese, e in teoria la legge difende i miei diritti alla parità. Eppure, era come se il problema fosse proprio lì, nel mio essere donna.
E difatti, per centinaia di milioni di donne meno fortunate di me, appartenere al genere femminile resta un enorme problema. Molte dei 3,3 miliardi di donne che popolano il nostro pianeta continuano a patire violenze, repressione, isolamento, discriminazione e mancanza di istruzione. In Afghanistan, dove la vita media di una donna non supera i 45 anni, la metà di tutte le spose hanno meno di sedici anni.
In Iraq, il tasso di alfabetizzazione tra le donne è in caduta libera, perché le famiglie hanno paura a mandare le ragazze a scuola. Nella Repubblica Democratica del Congo, le Nazioni Unite hanno denunciato un numero «senza precedenti» di violenze sessuali; in Sudan, un milione di donne sono state stuprate o rapite con la forza; nel Mali, il 91,4 percento della popolazione femminile viene sottoposta a mutilazione genitale; in Nepal, una donna su 24 muore di parto.
In Arabia Saudita, le donne non possono guidare la macchina e frequentare uomini che non siano loro parenti, essendo sottoposte a una severa segregazione.
Non c' è fine a queste spaventose statistiche, ma nonostante il presunto trionfo del femminismo in Occidente, anche qui da noi nascere femmina resta ancora un problema.
La relazione sulle disparità di genere, pubblicata nel 2015 dal Forum economico mondiale, rivela che le differenze di trattamento economico tra uomini e donne sono diminuite soltanto del 59 percento.
Gli Stati Uniti (assieme all' Iran e al Sudan) continuano a opporsi alla firma della Convenzione per l' eliminazione della discriminazione contro le donne, adottata dalle Nazioni Unite nel 1979. Sono passati 37 anni da allora, non so se mi spiego! Nel mio Paese, il Regno Unito, le donne guadagnano ancora in media 300 mila sterline in meno rispetto agli uomini nell' arco della loro vita lavorativa.
Quali sono le correlazioni tra questi dati? Perché mai dovrei io, una donna che gode di un certo successo, circondata da benessere e sicurezza, vedere un nesso tra le sofferenze delle mie sorelle nei Paesi in via di sviluppo e la delusione provata quando un tizio tra il pubblico ha fatto battutine sarcastiche sulle mie scarpe?
Cailin Moran, la femminista inglese, propone un test straordinario, nella sua semplicità, per capire se siete femministe o meno. Si può fare a casa e non richiede apparecchiature speciali. Eccolo qui: infilatevi una mano nelle mutande. Trovate una vagina? Se così è, chi dovrebbe occuparsene, secondo voi? Voi stesse? Ottimo, allora siete femministe.
Se pensate cioè che è una buona idea essere padrone del vostro corpo e non dover sottostare a soprusi, discriminazioni o vessazioni proprio in quanto proprietarie di quel corpo, ecco che vi apparirà chiara l' esistenza di un importante collegamento tra l' ossessione dei media per la cellulite delle celebrità e il continuo abuso e sfruttamento delle donne in ogni angolo del mondo.
L' ambito personale rientra in tutto e per tutto in quello politico, proprio perché quei piccoli disagi senza importanza che le donne sono costrette a subire, in quanto proprietarie di una vagina, si ricollegano in tutto e per tutto ai grandi problemi a livello mondiale.
In conclusione, sono convinta che la risposta a «Che cosa significa essere donna oggi?» è implicitamente racchiusa nella domanda, da cui si evince che la femminilità resta un problema, una difficoltà, qualcosa di Altro.
La storia è ricca di esempi di donne che hanno governato nazioni, condotto eserciti, fatto scoperte scientifiche, scritto libri, eppure ancora oggi la nostra cultura ci suggerisce spietatamente che qualsiasi tentativo di travalicare i confini del «monarcato patriarcale» della famiglia, così definito dalla femminista italiana Anna Maria Mozzoni, sia da considerarsi un' aberrazione e da guardarsi con sospetto. Le donne sono costantemente accusate di appartenere al femminismo «giusto» o a quello «sbagliato», come se tale distinzione fosse possibile.
In qualunque modo noi ci presentiamo, siamo subito esaminate secondo un metro immaginario, e immancabilmente giudicate in difetto.
Un approccio più semplice sarebbe forse quello di chiedere: ma gli uomini devono preoccuparsi di queste cose? Gli viene chiesto di giustificare le loro scelte a ogni istante?
Oppure si limitano semplicemente a vivere la loro vita? Come guardare la partita o insultare la TV o passare il loro tempo a fare quello che più gli piace, anziché sentirsi in obbligo di adempiere a compiti che faranno di loro dei Veri Uomini? I trionfi degli uomini appaiono forse minacciosi o riprovevoli, e passano forse in secondo piano rispetto al taglio di capelli? No. Perché allora le donne si rendono complici di queste stupidaggini? Perché continuiamo ad adeguarci a questo modello, che di conseguenza ci svilisce e ci banalizza?
Il femminismo deve saper affrontare le piccole questioni, oltre alle grandi. Basta con le lagne e le critiche. Ribelliamoci ai miti propagati dai media - come quello che una donna è in qualche modo incompleta senza figli, e il matrimonio è il giorno più bello della nostra vita, oppure che la valutazione fondamentale della donna candidata a diventare il prossimo presidente della più grande democrazia mondiale si possa basare sulla scelta del suo completo giacca e pantaloni.
Basta, è ora di smetterla. Perché le donne non saranno mai libere come gli uomini, se continueranno a scervellarsi su che cosa vuol dire essere donna.
(traduzione di Rita Baldassarre )