ADDIO A JARUZELSKI - IL GENERALE COMUNISTA CHE, CON UN COLPO DI STATO, SALVO’ LA POLONIA DI WOJTYLA E WALESA DALL’INVASIONE SOVIETICA

Jas Gawronski per "La Stampa"

Il dramma della sua vita è stato il colpo di stato del 13 dicembre 1981, imposto per bloccare l'espandersi del sindacato Solidarnosc. Da quella data ha speso tutte le sue energie, fino alla morte, per cercare di convincere, soprattutto i suoi concittadini, che si era trattato di una scelta giusta, del male minore, per evitare una guerra civile e l'invasione sovietica: tre giorni dopo quel fatidico 13 dicembre era prevista a Varsavia una grande dimostrazione che rischiava di degenerare in uno scontro con l'esercito data anche l'incapacità di Lech Walesa di frenare l'ala più estrema del suo movimento.

Certo non tutti gli hanno creduto, in particolare nel suo paese, ma i documenti emersi negli ultimi anni, soprattutto dagli archivi sovietici, tendono ad avvalorare la sua tesi.
«Mi deve credere, se non l'avessi fatto, oggi porterei la responsabilità per quello che sarebbe successo: una tragedia che avrebbe tra l'altro ritardato l'emergere di un Gorbaciov e della distensione in genere» mi disse in uno dei tanti incontri che con lui ho avuto. Certo manca la prova definitiva che i sovietici stessero per invadere la Polonia per strozzare l'esperimento di Solidarnosc ed evitarne il contagio verso altri paesi del blocco sovietico.

Ma il comportamento tenuto da Jaruzelski anche nel dopo il crollo del Muro di Berlino, quando non solo non si oppose ma addirittura favorì il trapasso verso un regime democratico che avrebbe abolito il monopolio del potere del suo partito, il partito comunista, dovrebbe almeno convincere i più scettici che il generale, in quella occasione, agì in buona fede. Di questa opinione direi che fosse anche Giovanni Paolo II che nei colloqui che con lui ho avuto non ha mai criticato Jaruzelski arrivando a definirlo una volta un «patriota» .

Del resto il Papa polacco ha manifestato pubblicamente di non voler condannare Jaruzelski ricevendolo due volte, nel '91 e nel '92, quando non aveva bisogno di farlo, quando era già in pensione, semplice privato cittadino non più presidente.

Una volta Jaruzelski, nella sua camera tappezzata di quadri di un unico soggetto, teste di cavalli, mi raccontò quello che aveva provato proprio nel momento in cui apprese la notizia dell'elezione di Karol Wojtyla: «All'inizio in me prevalse il polacco sul comunista che ero, e fu più la gioia per avere un concittadino alla guida della Chiesa cattolica che la preoccupazione per quello che avrebbe potuto rivelarsi un avversario temibile.

Ma dopo l'iniziale soddisfazione, eravamo tutti preoccupati, e i sovietici ancora più di noi: vi scorsero una sorta di congiura organizzata dal capitalismo occidentale, soprattutto americano, contro il nostro sistema».

Strano destino quello di Jaruzelski: suo bisnonno aveva combattuto per la Polonia contro la Russia zarista, suo nonno passò dieci anni in Siberia, suo padre vi morì di stenti, e lui stesso aveva patito la deportazione in Siberia. Eppure tutta la sua vita attiva ha collaborato con i sovietici. «Nella mia vita ci sono state contraddizioni.

La mia educazione è stata cattolica, in famiglia e a scuola, dai padri mariani, e lasciava prevedere strade diverse da quelle che ho poi imboccato». Ma poi, sul finire della sua vita, quel sistema che tanto lo aveva affascinato anche contro le esperienze e la tradizione della sua famiglia, di ceppo aristocratico, lui stesso ha contribuito a smantellare.

 

 

JARUZELSKIKYENGE E KAROL WOJTYLAWALESA BACIA L'ANELLO DI WOJTYLALECH WALESA E MITT ROMNEY

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