PRONTI, PARTENZA, BREXIT! - LA BANK OF ENGLAND RIVELA "PER SBAGLIO" AL 'GUARDIAN' CHE SI STA PREPARANDO A UN EVENTUALE USCITA DALL'UNIONE EUROPEA - I LABURISTI SENZA MILIBAND CAMBIANO STRATEGIA: "NON CI OPPORREMO AL REFERENDUM"
1. E SULLA BREXIT LO STRANO CASO DELL’EMAIL FINITA PER SBAGLIO A UN GIORNALE
Fabio Cavalera per il “Corriere della Sera”
Pare che sia stato un tasto del computer schiacciato per sbaglio. Ma Jeremy Harrison, che alla Banca d’Inghilterra è a capo delle relazioni con la stampa, un bel po’ di imbarazzi al governatore Mark Carney li ha provocati. Quella email nel video di uno dei vicedirettori del «Guardian» proprio non doveva finire.
E la ragione è semplice: si parla, nel messaggio, di un «Project Bookend», ovvero di uno studio segreto sulle conseguenze finanziarie della «Brexit» e si danno istruzioni su come negare l’esistenza di una commissione incaricata di seguire il medesimo progetto. Anche se l’istituto centrale cerca di riportare l’incidente lungo i binari di un banale scivolone tecnologico, è chiaro che qualche sospetto sia più che legittimo. Chi ha ordinato il «Project Bookend»? Che cosa ne sanno David Cameron e il cancelliere dello scacchiere George Osborne? Stanno facendo pressione sui vertici della Bank of England, che ha sede in Threadneedle Street,in previsione del referendum del 2017? Domande per nulla capziose vista la bufera che si è scatenata.
La Banca d’Inghilterra si è rifugiata in breve comunicato sottolineando che «non dovrebbe sorprendere che si intraprenda un certo tipo di lavoro sulle politiche decise dal governo». Ciò che non spiega è se lo strappo dall’Europa e le ricadute sui mercati finanziari siano sotto la lente di osservazione per insistenza del governo o per autonoma e opportuna analisi dell’istituzione centrale. Resta il giallo. Il che è una circostanza fuori dall’ordinario in Threadneedle Street.
Maledetto il tasto del computer che giovedì sera ha spedito al «Guardian» la email riservata. In origine, era indirizzata a quattro manager interni, ma ha preso la rotta sbagliata. La sostanza è che è un ristretto gruppo direttivo della Banca d’Inghilterra, coordinato da sir Jon Cunliffe, vicegovernatore e responsabile del monitoraggio sui rischi dei crac finanziari, è all’opera per valutare lo scenario di una fuga di Londra dall’Unione. In questo comitato siede anche James Talbot che guida la divisione strategica sempre della Banca d’Inghilterra. Non ci sarebbe da scandalizzarsi poi tanto.
Ma il punto è che nella email, redatta dalla segreteria di Jon Cunliffe, ci sono precise disposizioni su chi tenere all’oscuro e su quali tattiche diversive adottare con la stampa. Che l’istituto centrale operi nel massimo della discrezione è scontato. Però Mark Carney ha sempre insistito che la «trasparenza» sarebbe stata il faro della sua politica. Ebbene, la lettura del messaggio pubblicato dal «Guardian» offre una sensazione differente. Si parte così: «La proposta di Jon è che nessuna email debba essere inviata al team di James (Talbot) o più ampiamente alla Banca, circa il progetto».
E prosegue: «James (Talbot) può dire al suo team che sta lavorando a un progetto a breve termine sulle economie europee...Questo sarà un lavoro in profondità su un ampio spettro di tematiche economiche europee. Lui non dovrà aggiungere altro». Riguardo poi alla curiosità della stampa o di soggetti diversi sulla possibilità che tale progetto sia mirato alla preparazione del referendum «dovrebbe essere data la risposta che ci sarà molto da lavorare in Europa nei prossimi due mesi, indicando alcune delle specifiche questioni (esempio la Grecia) che potrebbero essere di preoccupazione per la Banca».
Per quale ragione una tale riservatezza? Threadneedle Street, nella notte fra venerdì e sabato, ha dovuto ammettere che un suo gruppo è segretamente impegnato nell’approfondimento sull’impatto della Brexit. Ha però minimizzato: «Non è ragionevole parlare in anticipo di questo lavoro». E promette che «i dettagli saranno resi noti nei tempi appropriati». Che sia una normale procedura o che sia il punto di partenza di un percorso che ha come tappa finale il sì o il no all’ Europa, è poco chiaro.
2. GB: LABOUR, NON CI OPPORREMO A EVENTUALE REFERENDUM SU UE
(ANSA-AP) - Il partito laburista britannico non cercherà di bloccare un eventuale referendum promosso dai conservatori sulla permanenza o meno del paese nell'Unione europea. La dichiarazione, fatta dalla leader pro tempore del partito, Harriet Harman, al Sunday Times, costituisce di fatto un'inversione di 180 gradi rispetto a quanto finora dichiarato dal Labour party. Il premier David Cameron ne ha fatto una chiave di volta della sua campagna elettorale vincente e, secondo Harman, "è chiaro che la gente vuole avere un'opportunità per dire la sua" con il referendum. La segretaria ha comunque fatto capire che il suo partito è europeista e favorevole alla permanenza del regno unito nell'Unione.
3. COSÌ LA GRAN BRETAGNA SI PREPARA AL REFERENDUM SULL’UNIONE EUROPEA
Mark Rice-Oxley per “the Guardian” pubblicato da “la Stampa”
Dunque David Cameron ha vinto e ora la Gran Bretagna si dirige verso l’uscita dall’Europa, giusto? Non così in fretta.
Benché la rielezione del leader conservatore con una maggioranza assoluta all’inizio del mese abbia senza dubbio lasciato la Gran Bretagna in Unione europea nella posizione più precaria degli ultimi 40 anni, l’uscita britannica, o «Brexit» in breve, non è ancora la conclusione più scontata. Infatti, sussistono ancora molte più domande che certezze.
La domanda numero uno è: quando? Quando avrà luogo il referendum promesso da Cameron? E ciò inciderà sul suo esito? In origine si parlava del 2017, ma ora potrebbe essere anticipato, lasciando alle forze pro-europeiste meno tempo per organizzarsi e iniziare a convincere un pubblico generalmente scettico circa i meriti dell’appartenenza europea; tuttavia il referendum non sarà anticipato a prima dell’autunno 2016, ci saranno altri 18 mesi di tempo per un intenso dibattito nazionale.
La domanda numero due è: come? Il modo in cui la domanda del referendum sarà formulata è cruciale. Un semplice «dentro» o «fuori» offre alla fazione pro-Ue migliori opportunità giocando sui forti timori generati dall’uscita della Gran Bretagna; qualsiasi formulazione più emotiva o vaga potrebbe deviare i risultati verso gli euroscettici, sostengono gli analisti.
La domanda numero tre è: Chi voterà? Il criterio di idoneità sarà la cittadinanza (come nelle elezioni nazionali) o la residenza (come nelle votazioni locali)? Bisogna aspettarsi un furioso dibattito politico sulla questione, anche se alla fine sarà il governo conservatore ad avere l’ultima parola.
La domanda numero quattro è: cosa? Su cosa voteranno gli inglesi? Cameron sarà in grado di tornare da Bruxelles con alcune concessioni dei partner europei che potrebbero soddisfare la destra scettica del suo partito oltre a un sospettoso pubblico più ampio? Quali potrebbero essere queste concessioni?
È difficile che si tratti di variazioni del Trattato, poiché queste dovrebbero essere ratificate negli altri stati membri, e pochi leader europei hanno il fegato per farlo. Potrebbero essere possibili alcuni compromessi sugli opt-out e sul rimpatrio dei poteri ai parlamenti nazionali, sebbene l’accordo sulla questione spinosa della libera circolazione sembra difficile per un primo ministro che ha promesso di fare i conti con l’immigrazione.
Forse la questione più importante sono i sondaggi. Hanno regolarmente mostrato il vantaggio del «no». Ma dopo il referendum scozzese dello scorso autunno e le elezioni generali del 7 maggio, i sondaggisti sono più screditati che mai. Sia nella votazione scozzese che in quella nazionale, una volta terminati i discorsi e con l’inizio della votazione, la spontanea prudenza britannica è subentrata: hanno scelto la sicurezza dell’unione, la certezza del governo che conoscevano. E la fazione pro-europeista certamente spera che in questo referendum gli elettori finiscano per restare fedeli a ciò che già conoscono.
SORRISO SMAGLIANTE DI HARRIET HARMAN jpeg
Inoltre, avranno di fronte un’ardua impresa. Un gruppo pro-Ue sta iniziando a prendere forma, anche se manca dell’appoggio della leadership (anche se i laburisti si sono schierati ieri per il «no»). Pochi politici sembrano pronti ad alzarsi in piedi e perorare la causa dell’Europa.
La grande maggioranza della stampa inglese è moderatamente o apertamente ostile all’Unione europea, e questo promette una campagna unilaterale da parte dei media. Gli effetti si sono sentiti all’inizio del mese: l’elezione del 7 maggio ha prodotto un record di 4 milioni di voti per il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (Ukip), all’incirca un voto su sette.
Ma la storia è contro di loro: i referendum nei paesi europei sulle questioni dell’Ue hanno la sfortunata tendenza ad andare contro le proposte.