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IL LUNGO INVERNO DELLA CATALOGNA - CAZZULLO: CON L’ILLUSIONE INDIPENDENTISTA ORMAI TRAMONTATA BARCELLONA HA PERSO TREMILA IMPRESE, TUTTE LE BANCHE, IL 30% DEL TURISMO – E NEPPURE LE ELEZIONI DI GIOVEDI’ PROSSIMO RISOLVERANNO LA TRAGEDIA. NON VINCERA’ NESSUNO…

Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera

CATALOGNA

 

C' era una volta una terra in cui tutti gli studenti d' Europa volevano venire, con il ristorante migliore al mondo, la squadra di calcio più forte, la vita notturna più allegra. L' illusione indipendentista - ormai tramontata - e la repressione sono riuscite a farla fallire. La Catalogna ha perso tremila imprese, tutte le banche, il 30% del turismo; cresce meno della metà del resto di Spagna; ha avuto famiglie divise, amicizie infrante, amori finiti; e neppure con le elezioni di giovedì prossimo risolverà la tragedia che si è costruita con le sue stesse mani.

 

Secondo l' ultimo sondaggio, non vincerà nessuno. I separatisti dovrebbero perdere la maggioranza; ma non c' è un' alleanza unionista in grado di governare. Dall' esilio il presidente Carles Puigdemont dice che tornerà «quando meno se l' aspettano». Dal carcere - con accuse da girone dantesco: ribellione, sedizione, malversazione - il vicepresidente Oriol Junqueras ha scritto in un mese più lettere di Silvio Pellico in dieci anni, per incoronare la sua pupilla ancora a piede libero, Marta Rovira, prontamente indagata dal Tribunale supremo di Madrid. Un rebus senza soluzioni.

 

CATALOGNA GUARDIA CIVIL

Dice Javier Cercas, il più importante scrittore civile di Spagna, che per capire la secessione bisogna leggere Curzio Malaparte: Tecnica del colpo di Stato. «Diceva Malaparte che i golpe migliori sono quelli senza violenza: Napoleone, De Gaulle, Primo de Ribera. La casta catalana ha tentato il primo golpe del XXI secolo. Ha approfittato del momento di massima debolezza dell' Europa - la Brexit, la finis regni della Merkel - e del governo di Madrid. Ha puntato sul riconoscimento internazionale, come il Kosovo di vent' anni fa. Per fortuna il golpe è fallito. Sono stati decisivi i socialisti, che hanno appoggiato Rajoy; per questo voterò Psc, partito socialista catalano. La sindaca Colau invece ha avvalorato l' impostura della catalanidad.

 

SPAGNA CATALOGNA

L' identità collettiva non esiste. Aveva ragione Montaigne: «C' è tanta differenza tra noi e noi stessi che tra noi e gli altri». Il catalanismo si basa sulla rottura con la realtà. Sul sonno della ragione. Su un cumulo di menzogne, destinate a coprire la cleptocrazia che ci governa da quarant' anni. Parlano di patria per continuare a rubare. Hanno annunciato mille feriti. Sa quanti sono finiti davvero in ospedale? Quattro. Secondo Guardiola, la polizia aveva rotto tutte le dita a una bambina: un falso vergognoso. Ma la menzogna più grande è che la Spagna di oggi sia franchista: un oltraggio alle vittime del franchismo, quello vero.

 

La seconda bugia è che la Catalogna fosse antifranchista. Aveva ragione Vázquez Montalbán: nell' ora più nera della dittatura gli antifranchisti di Barcellona avrebbero potuto prendere tutti lo stesso autobus». Non è finita qui però, ammonisce Cercas: «Viviamo la crisi più grave del dopoguerra. Rischiamo di diventare un' Irlanda del Nord senza le bombe. Gli arresti alimentano il vittimismo, che è il carburante del nazionalismo. Per fare un governo ci vorrebbe un miracolo. Se poi i secessionisti dovessero mai riuscire, un minuto dopo seguirebbero i baschi, e poi i corsi, i fiamminghi, i veneti, i bavaresi Sarebbe la fine dell' Europa».

 

MANIFESTAZIONE CONTRO L'INDIPENDENZA DELLA CATALOGNA

Vázquez Montalbán diceva anche che il Barça è «l' esercito disarmato della Catalogna». Qui si racconta che il franchismo finì quando nel 1974 i Blaugrana vinsero 5 a 0 a Madrid; Cruijff euforico chiamò il figlio Jordi come il santo patrono; Franco, grande tifoso del Real, sopravvisse pochi mesi. Real Madrid-Barcellona si gioca sabato prossimo. La Ciutat Esportiva dove i calciatori si allenano pare una clinica svizzera. Personale cortesissimo. I soci sono quasi tutti per l' indipendenza, ma gli atleti sono divisi.

 

 

Questo gigante biondo, bello come Achille, che si esercita a calciare in porta da quaranta metri è Gerard Piqué, marito della popstar Shakira, che si è assicurato un avvenire politico schierandosi per il referendum. Invece il piccoletto che sta entrando in campo abbracciato al magazziniere, Andrés Iniesta, eroe nazionale da quando ha segnato il gol del primo e unico Mondiale vinto dalla Spagna, ha invitato tutti al dialogo e alla riconciliazione.

MANIFESTAZIONE CONTRO L'INDIPENDENZA DELLA CATALOGNA

 

Piqué è figlio dell' alta borghesia catalana; Iniesta è manchego, è cresciuto qui ma non dimentica di venire da una delle regioni più povere. Piqué lo fischiano dappertutto; Iniesta lo applaudono. Gli ultras si aspettavano che il club facesse di più per la causa; ma i milioni di andalusi ed estremegni che tifano Barcellona hanno sofferto. Ecco Leo Messi con un berretto grigio. I giornalisti gli fanno domande in catalano, lui risponde in spagnolo: è qui da quasi vent' anni ma nella lingua del posto non dice una parola. Ha appena firmato un contratto da cento milioni l' anno: segno che il Barça fuori dalla Liga spagnola non può e in fondo non vuole stare.

 

Un altro fuoriclasse, in questo cruciale week end, è di scena al teatro Goya. Il Nobel Mario Vargas Llosa è qui per sostenere Ines Arrimadas, candidata di Ciudadanos, il partito - in testa ai sondaggi - più ostile alla secessione.

L'ALTRA CATALOGNA CONTRO LA SECESSIONE

 

«Torna in Perù!» gli grida un passante. Lui risponde: «Io sono peruviano, catalano, spagnolo, europeo. E sono anche liberale e democratico. Sono un cittadino del mondo». Poi parte subito forte citando Popper: «Il catalanismo è come il richiamo della tribù. Un mondo chimerico, inventato. Io ho vissuto qui cinque anni, alla fine della dittatura. Sono stati i migliori della mia vita. Barcellona era la città più aperta del mondo: cosmopolita, meticcia, curiosa. Gli spagnoli venivano qui per sentirsi in Europa.

 

Giovedì dimostrerete che la Catalogna non è l' incubo anacronistico sognato dai separatisti!». Il pubblico applaude in piedi. Vargas Llosa ora cita Malraux, «che non era solo un grande scrittore ma pure un grande oratore» sorride pensando chiaramente a se stesso, «e una volta disse: viviamo uno strano tempo, in cui la sinistra non è a sinistra, la destra non è a destra, e il centro non è in mezzo.

 

Non c' è nulla di più reazionario della sinistra nazionalista. La vera Catalogna è progressista e libertaria. La vera Catalogna siete voi!» chiude in un tripudio di bandiere spagnole ed europee. «A Barcellona in questi giorni non si gioca solo il futuro della Spagna, ma dell' intero continente!».

 

Sciopero Generale in Catalogna

Dal teatro infiammato dal Nobel si sale al Montjuic, la collina dei Giochi del 1992, a picco sul mare. Qui è sepolto Lluís Companys, l' ultimo presidente ad aver dichiarato l' indipendenza.

 

Lo stadio olimpico doveva portare il suo nome; poi si rinunciò per non riaprire antiche ferite.

Fuggito in Francia dopo la sconfitta nella guerra civile, catturato dalla Gestapo, consegnato a Franco, fucilato, Companys riposa sotto un laghetto di ninfee, come re Artù. Il luogo non è triste, anche se evoca un esercito di ombre. Qui sono i resti di anarchici fucilati dai comunisti e garrotati da Franco. L' ultimo fu Salvador Puig Antich: in quella stessa mattina del 2 marzo 1974, Joan Miró tracciava dopo anni di prove la riga definitiva sulla tela bianca intitolata «La esperanza del condenado a muerte», custodita nel museo qui a fianco. Papa Paolo VI implorò la grazia; il caudillo non gli venne neanche al telefono.

puigdemont

 

Non tutti gli eroi catalani sono caduti gloriosamente. Jordi Pujol, padre dell' autonomia, è accusato di aver nascosto 137 milioni di euro ad Andorra e in Svizzera. Sandro Rosell, presidente del Barcellona dei trofei, è in galera per evasione fiscale. Ad Artur Mas, che resta il leader-ombra della destra separatista, Madrid ha sequestrato la casa per farsi risarcire le spese del referendum del 2014.

 

Ogni angolo svela una contraddizione: quasi tutti i giornali compresa La Vanguardia sono per l' unione alla Spagna, la rete è quasi tutta contro; molti poliziotti portano il nastrino giallo per chiedere la liberazione dei «prigionieri politici» ma obbediscono a Madrid; si espongono i ritratti di Puigdemont, ma alla frontiera si rafforza la vigilanza per impedirgli di rientrare. Barcellona è stata un crocevia del Novecento, qui scrissero le loro pagine migliori Orwell e Koestler, Malraux e Hemingway, Gibson e Bernanos; ora ai turisti si da il menù in catalano, negli ospedali si fa l' esame ai medici, non dite adios ma adeu . Solo il 21% vuole andare avanti con la secessione; gli altri chiedono un dialogo che però Madrid si ostina a negare. È un' indipendenza sentimentale, non politica.

Ma i sentimenti possono anche ingannare.

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