CULATELLO STA MEGLIO E SI VEDE DA COME ‘MALTRATTA’ RENZI: ‘LA “PROFONDA SINTONIA’’ DEVI AVERLA COL PARTITO’ – ‘L’INCONTRO COL CAV? RITORNO ALL’INDIETRO’ – RODOTÀ: ‘DERIVA ETICA SE SI DIMENTICA CHI È BERLUSCONI’

1. BERSANI NON FA SCONTI AL SEGRETARIO: ‘LA SINTONIA DEVI AVERLA COL PARTITO'
Giovanni Cerruti per ‘La Stampa'

Poteva andar meglio, magari un'altra «profonda sintonia», e questa volta con Pierluigi Bersani, l'illustre infermo che può ancora muovere umori e malumori. E invece, dopo quasi un'ora, su nella stanza al quarto piano dell'Ospedale Maggiore, è appena un «Buon lavoro, Matteo».

Così, alla fine di un pomeriggio di pioggia gelida, Matteo Renzi se ne va come era arrivato: invisibile alla piccola folla di reporter che fa la posta nell'androne, e dunque muto, niente da dichiarare, nemmeno un tweet ricordo. C'è sempre un treno che non lo aspetta e deve tornare subito a Firenze. E oggi a Roma, appuntamento nel pomeriggio con la direzione Pd.

Renzi e Bersani da soli. Vasco Errani, il presidente dell'Emilia-Romagna, che attende in corridoio. In mattinata Romano Prodi aveva portato un pacchettino rosso, dentro un paio di sigari assai graditi da Bersani e molto meno dai medici. Renzi non si sa cos'abbia portato, ma si sapeva cosa avrebbe detto.

Il riassunto delle ultime puntate, soprattutto l'ultima, quella di sabato, l'incontro con il Cavaliere nella sede Pd del Nazareno. Ecco, da quel poco che filtra non sarebbe proprio piaciuta a Bersani. Che, al successore, avrebbe ricordato che la profonda sintonia ci vuole con le varie sensibilità del partito, «con la nostra gente».

Sul comodino «Mia suocera beve» di Diego De Silva, sul letto una copia del National Geografic. Ci sarebbero anche delle pizzette, che Bersani si fa portare (di nascosto) da un amico. Sta meglio, molto meglio, come ha raccontato Romano Prodi. Forse mercoledì potrà tornare a casa.

Ma di questo non parla con Renzi. Ascolta, piuttosto. Si fa spiegare l'idea di riforma elettorale, l'idea di partito. Non pare sia rimasto entusiasta. Uno dei suoi, con cautela, spiegherà che «la valutazione sarà possibile quando si conosceranno i dettagli, e in ogni caso bisognerà vedere la distanza con la proposta originale del Pd, che è il doppio turno».

Alfredo D'Attorre, deputato con l'etichetta «bersaniano», ha già provveduto a bombardare Renzi e le sue profonde sintonie. Dal quarto piano non arrivano smentite. Bersani avrebbe ribadito che «tra listino bloccato e premio di maggioranza per la governabilità il rischio è quello di ripetere gli errori del "Porcellum"». Insomma perplessità su perplessità. Che lasciano immaginare, per questo pomeriggio, una Direzione Pd dove i "bersaniani" si presenteranno, come si dice, «a mani libere». Un rischio che forse, con questa domenica sul treno per Parma, Renzi avrebbe voluto evitare. Ma con Bersani non c'è stata profonda sintonia...

Non che Renzi si turbi più di tanto. Prima di partire da Firenze e rinunciare alla partita della sua Fiorentina in tv, aveva messo su Facebook tutto il suo decisionismo: «Sono stato eletto alle primarie per cambiare le regole del gioco, per rilanciare sul lavoro, per dare un orizzonte al Pd e all'Italia. Dopo 20 anni di chiacchiere in un mese abbiamo il primo obiettivo a portata di mano. L'accordo, trasparente e alla luce del sole, è molto semplice...». E' quello che sta andando a spiegare a Bersani. Che ne aveva parlato in mattinata con Romano Prodi. «Di tutto, abbiamo discusso di tutto», sarà poi la sua conferma.

«Per una volta facciamo ciò che abbiamo promesso, e questo mi sembra l'unico modo per cambiar verso», scrive Renzi. Avanti, avanti così. Anche se a Parma, su al quarto piano, Bersani non può far a meno di ripetere che «di uomo solo al comando mi piaceva Coppi e basta». E che un segretario del Pd non può sempre scattare fuori dal gruppo. «Attento alle sensibilità». Quelle sensibilità che non hanno capito l'invito nella sede del Nazareno per Silvio Berlusconi. «E' un tornare indietro». E' un rimetterlo in sella, nel gruppo. «La leadeship va sempre maneggiata con cura». Senza strappi. Senza esclusioni. E magari senza i «Fassina chi?».

Anche se poteva andar meglio Matteo Renzi non poteva non venire a Parma. C'era stato Enrico Letta per un'ora e mezza, Prodi per un ora, lui poco meno. Ma Letta e Prodi sono due vecchi amici, Renzi no, altra generazione, altra storia, altro modo di intendere la segreteria del Pd e le «sintonie». Forse il viaggio a Parma era un atto dovuto, forse non s'aspettava altro che dubbi e dinieghi. Nell'androne dell'Ospedale aspettava quella pattuglia di reporter ormai abituati alla battuta renziana che fa sempre titolo. Ma per questa volta niente, nè una battuta nè una fotografia. Non è il caso. Con Bersani poteva andar meglio. Con la direzione Pd chissà.


2. RODOTÀ: ‘SI RISCHIA LA DERIVA ETICA SE SI DIMENTICA CHI È BERLUSCONI'
Da ‘La Stampa'

Parla di deriva etica e si rammarica per la perdita della memoria. Stefano Rodotà è duro nella sostanza quando, ospite di Fabio Fazio, stronca l'incontro Renzi-Berlusconi. «Sento grandi inni al realismo da chi dice che l'incontro si doveva fare ma io sono sempre prudente di fronte agli eccessi di realismo e ai danni che ha provocato negli anni».

«Per chi è cittadino del Paese - osserva ancora Rodotà - e ritiene che ci sia da ricostruire un'etica pubblica e civile, abbiamo perduto tutta la memoria se non ricordiamo che Silvio Berlusconi è stato condannato e che è stato dichiarato decaduto da senatore».

 

IL SALUTO TRA RENZI E BERSANI bersani renzi bersani renzi letta bindi prodi veltroni adinolfiStefano Rodota Stefano Rodota taglioAlta x FABIO FAZIO E ENRICO LETTA

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