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Carlo Bonini e Andrea Greco per La Repubblica

Il segreto del Sistema Mussari, incipit della catastrofe di Mps, è in un conto di una banca londinese su cui nel 2007 vennero parcheggiati 2 miliardi di euro.

Quei 2 miliardi di euro sono l'incongruo e mai giustificato sovrapprezzo per l'acquisto di Antonveneta con cui sfamare gli appetiti della politica, la spregiudicatezza del management del Monte e rendere indissolubile il "groviglio armonioso" della terza banca italiana, la più antica del mondo. Su quel conto sarebbe stata parcheggiata la madre di tutte le tangenti, lasciando poi che il tempo e una sequenza di scudi fiscali ne consentisse il tranquillo rientro in Italia ai suoi diretti beneficiari o intermediari. Politici, appunto. Banchieri. Manager.

Se così stanno le cose, se coglie nel segno questa che oggi è l'ipotesi investigativa principale su cui si muovono i pm della Procura di Siena Giuseppe Grosso e Antonino Nastasi e il Nucleo di polizia valutaria di Roma (che proprio a Londra hanno avanzato diverse rogatorie), gli ultimi cinque anni di storia di Mps andranno riscritti da cima a fondo e verosimilmente l'elenco delle responsabilità non si fermerà al solo Mussari e ai suoi uomini. In un annunciato "Armageddon" giudiziario che, non a caso, ha consigliato la Procura di attendere l'esito del voto di febbraio prima della sua "discovery". E in cui la "nuova" Mps annuncia che sarà parte lesa, pronta a chiedere azioni di responsabilità per miliardi di euro.

Londra e l'acquisto di Antonveneta, dunque. Da qui è necessario partire. Siamo a fine 2007 e il mondo finanziario è prossimo a ballare sul ciglio del baratro. La Mps di Mussari acquista la Antonveneta da Banco Santander per 9 miliardi in contanti. Un prezzo che definire generoso è poco. Fuori da ogni logica e parametro e per giunta inspiegabilmente figlio di un rilancio dello stesso Mussari nel momento in cui gli spagnoli sembrano pronti a chiudere per 7 miliardi. I 9 miliardi vengono versati in due tranche e su conti distinti. 7 miliardi direttamente a Santander. 2 miliardi su un conto di una banca londinese nella disponibilità dello stesso Santander.

È la provvista della tangente. O, almeno, è questa l'unica logica spiegazione che può essere data a quelle anomalie nell'acquisto: il sovrapprezzo e il suo versamento su un conto separato. Banca d'Italia potrebbe eccepire su quell'operazione, probabilmente. Ma decide di non entrare nel merito del prezzo di acquisizione chiedendo quale unico requisito al Monte di ricapitalizzarsi.

La Banca lo fa, ma a modo suo. Con l'emissione di un prestito convertendo in azioni da un miliardo (i cosiddetti bond "fresh"), contratto a debito con Mediobanca e Credit Suisse e intestato a sottoscrittori sempre rimasti misteriosi, alcuni dei quali intermediati sull'estero. È una scelta "quieta" quella di Bankitalia che in quel momento serve a tutti. Perché Antonveneta è una "operazione di sistema", dove tutti coprono tutto, e a vantaggio di tutti. E in cui si creano e cementano nuove fedeltà.

A Siena, ma non solo, come dimostra la giubilazione, nel 2010, di Mussari al soglio dell'Abi. Antonveneta, infatti, è in quel momento un problema del Sistema, e come tale viene sistemato con generale soddisfazione.

Della politica, del blocco di interessi che controlla la Banca. Peccato, che una volta inghiottito il boccone Antonveneta, cominci l'agonia del Monte. Al cui capezzale si applica una struttura di gestione parallela, che fa capo all'area finanza di Gianluca Baldassarri (parente di Mario Baldassarri, l'economista di An poi sottosegretario del governo Berlusconi), del suo vice Alberto Cantarini, e almeno una decina di operatori, protagonisti nel decennio passato di una teoria di operazioni rischiose, derivati al quadrato e macchinazioni che, ora, a Palazzo Koch, non esitano a definire «mostruosi».

Si tratta di investimenti conclusi in gran segreto, e con poco riguardo rispetto alle scadenze e alle buone prassi, utilizzando a leva una trentina di miliardi di euro su cui la banca guadagna pochissimo (uno zero virgola, se va bene) mentre altri guadagnano molto.

Quella di Mps e di Baldassari è una turbofinanza che deve rifare il trucco ai bilanci e spostare in avanti le perdite, se necessario, trasfor-mandole miracolosamente in utili (è il caso delle operazioni Santorini e Alexandria). E che nessuno si accorga di quanto accade in quel momento a Rocca Salimbeni è difficile crederlo. Per dirne una, «l'accordo con Deutche Bank Londra (il contratto Santorini), che comportò a fine 2008 l'acquisto di 2 miliardi di Btp, legati a finanziamenti il cui costo dipendeva da variabili spiccatamente aleatorie», fa aumentare un anno dopo, quando viene inclusa nelle statistiche, del 30% in un sol colpo «la rischiosità del banking book».

Mentre l'ispezione interna Mps del maggio 2009, come accerterà Bankitalia un anno dopo, «si concludeva con giudizio positivo, non valutando adeguatamente l'inosservanza del limite di liquidità strutturale, i rischi degli investimenti di desk e gli effetti dello swap a variabile di passivi a tasso fisso in in contesto già in peggioramento».

Che in quel momento Mps sia un animale morente pronto a qualunque tipo di operazione pur di sopravvivere deve essere il segreto di Pulcinella nel Sistema. Tanto è vero che anche Bankitalia, come testimonia la relazione ispettiva del maggio 2010, dà segni di preoccupazione.

Fino all'atto finale, a Capodanno 2011, quando la suasion di Via Nazionale si impone, con la nomina di un manager esterno - Fabrizio Viola - a capo della banca. Un commissario de facto, che dopo nemmeno un mese allontana in malo modo il direttore finanziario Gianluca Baldassarri, asfalta l'intera area finanza e manda a casa, come ha rivendicato lui stesso ieri in assemblea, «il 50% dell'alto management».

Intanto, da quel conto londinese la tangente ha cominciato a rientrare in Italia. Frazionata. In una sequenza che da sporadica si fa ad un certo punto continua nei flussi e per questo incuriosisce la Finanza. L'inizio di un'inchiesta, appunto e lo svelamento di un Sistema.

 

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