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MA È BIDEN O TRUMP? – MA QUALE DISGELO CON L’IRAN: “SLEEPY JOE” HA INTENZIONE DI MANTENERE LE SANZIONI IMPOSTE DAL SUO PREDECESSORE FINCHÉ IL REGIME DEGLI AYATOLLAH NON AVRÀ RISPETTATO GLI IMPEGNI SUL NUCLEARE - E ANCHE SULLA CINA NON SI TORNA INDIETRO: “NON SI RAVVEDE UN BRICIOLO DI DEMOCRAZIA. SIAMO PRONTI A UNA CONCORRENZA ESTREMA”
Francesco Semprini per “La Stampa”
Inizia in un clima di gelo apparente il nuovo corso dei rapporti tra Stati Uniti e Iran, con Joe Biden determinato a mantenere in vita le sanzioni imposte da Trump sino a che la Repubblica islamica non avrà rispettato i suoi impegni sul fronte del nucleare. Un no categorico alla richiesta del leader supremo Ali Khamenei, secondo gli Usa devono prima di tutto allentare la morsa delle restrizioni.
La linea della Casa Bianca per il momento è rigida, ma a Washington si respira un' altra aria dopo quattro anni di strategia della «massima pressione» voluta da Trump nei confronti di Teheran.
«Da parte di Biden c' è un po' di tattica in risposta a Khamenei oltre a una serie di condizionamenti interni ed internazionali che gli impongono un minimo di prudenza», spiegano fonti vicine al dossier. Secondo cui a Teheran è stata presa la decisione di andare al tavolo negoziale: «Il Paese non può permettersi isolazionismo e sanzioni ad oltranza e di questo ne è convinto l' establishment moderato ma anche conservatore».
Dovrà prevalere il pragmatismo: «L' unico modo è che Usa e Iran procedano assieme».
Occorre capire chi si muoverà prima in Iran, se il governo attuale o quello che uscirà dalle presidenziali di giugno che i conservatori si aspettano di vincere. «Da parte degli Usa c' è un senso di urgenza dettato dai passi in avanti compiuti da Teheran verso la realizzazione della bomba atomica», spiegano le fonti.
L' inviato della Casa Bianca Robert Malley e il segretario di Stato Anthony Blinken vogliono consultarsi con i partner europei e regionali, in particolare quelli più scontenti del Jcpoa (l' accordo nucleare del 2015), ovvero Israele e le monarchie del Golfo. «Siamo nella fase della revisione, le prime consultazioni ci saranno in tempi ravvicinati, quello è l' inizio del processo».
Un primo passo è atteso quindi prima delle elezioni iraniane in vista delle quali i moderati (Rohani e Zarif per capirci) vogliono portare in dote un risultato.
Dovranno però dimostrare a Washington di fare anche loro un passo col ripristino del sistema di controlli e restrizioni al programma atomico. Teheran attende da parte sua segnali del cambiamento di rotta di Washington «evidenti», come ad esempio deroghe alle esportazioni di petrolio, che consentirebbero agli Usa di agire sulla leva economica, mantenendo in vita le sanzioni relative a terrorismo e diritti umani.
A questo punto incidono due fattori. Il primo è non aggiungere altri elementi al dossier nucleare «puntando a tornare a prima di Trump».
La questione del programma missilistico di Teheran e il ruolo nella regione, così come il nodo diritti umani e la liberazione dei prigionieri, sono questioni che procederanno in parallelo. «E' un approccio metodologico, sul modello di quanto avvenuto con la Russia per il programma Start».
C' è poi il rapporto con l' Europa, «partner fondamentale perché conferisce peso all' azione Usa nel mondo su vari tavoli, a partire dalla Cina». A cui ieri Biden ha mostrato i muscoli affermando che in Xi Jinping «non si ravvede un briciolo di democrazia».
Anche con il Vecchio continente c' è un rapporto da ricostruire nel post Trump «per trovare letture più condivise» anche sull' Iran, perché gli europei sono parte fondante del Jcpoa e i singoli Paesi hanno rapporti profondi con Teheran, Italia in testa. «I molteplici colloqui dei giorni scorsi tra Roma e Washington mostrano l' interesse americano nell' avere un dialogo da subito». Destinato ad essere consacrato con la leadership di Mario Draghi.
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