CHI DISTURBA IL MANOVRATORE, FINISCE IN GALERA - DA MERLO (“REPUBBLICA”) A FELTRI (“IL GIORNALE”) UNITI CONTRO LA MAGISTRATURA IN DIFESA DI GRILLO CHE RISCHIA DI FARSI 9 MESI DI GATTABUIA

1. CHI DISTURBA IL PD FINISCE IN GALERA
Vittorio Feltri per Il Giornale

Anche per Beppe Grillo, come si dice dalle mie parti, è arrivato «quello del formaggio», cioè colui il quale è pronto a darti una lezione. Nel caso specifico, quello del formaggio ha la toga e merita di essere temuto perché se ti prende di mira c'è poco da scherzare, come ben sa Silvio Berlusconi.

Che cosa sta succedendo? Ormai il lettore avrà capito. Il leader del Movimento 5 stelle è sotto il tiro della magistratura. A Torino il Pm ha chiesto la sua condanna a nove mesi di carcere al termine di un processo riguardante una baita costruita abusivamente e divenuta simbolo e icona dei No Tav;

a Genova la Procura lavora per decidere se iscrivere il comico nel registro degli indagati in seguito a numerosi esposti provenienti da varie città, che lo accusano di avere sollecitato le forze dell'ordine a non difendere più i politici italiani, responsabili dello sfascio del Paese.

Tutto ciò non stupisce, ma preoccupa perché è la prova che in materia di diritti civili siamo rimasti indietro di un secolo, senza contare l'arretratezza dei nostri codici penali. Cerchiamo di spiegare. Chiunque è consapevole che erigere una baracca o qualcosa del genere senza i canonici permessi è un reato, quantomeno un abuso.

Chi lo ha commesso va quindi punito. Ma non con la galera. È sufficiente imporgli di demolirla e di ripristinare sul territorio lo statu quo ante, cioè la situazione ambientale precedente. Inoltre è giusto fargli pagare un multa proporzionata al danno provocato.

Fine della storia. Qui invece siamo di fronte a una richiesta di pena detentiva assai pesante: nove mesi di galera. Non ha senso. Qualcuno griderà allo scandalo e punterà il dito contro il Pm cattivone. Può darsi che ci sia qualcosa di vero, ma soltanto qualcosa. Il problema però è che il legislatore ovvero il Parlamento non abbia provveduto a correggere una legge tanto severa, quella cui si appella la pubblica accusa, cosicché un'eventuale condanna di Grillo alla prigione sarebbe sì intrinsecamente ingiusta, ma legittima in quanto prevista dal codice per il reato di cui trattasi.

Ribadiamo il concetto. Non si costruiscono edifici senza aver ottenuto le relative autorizzazioni, non si appoggiano eventuali iniziative scorrette di persone ostili alla realizzazione dell'Alta velocità, tuttavia è fuori dalla logica e dal buon senso castigare il reo rinchiudendolo in una cella per quasi un anno.

Va risarcita la società? Sicuramente sì. Si pretenda da Grillo - ammesso e non concesso che sia colpevole - l'esborso della cifra necessaria a riparare i danni. Punto e amen. Nossignori. Si invoca per lui la reclusione.

Se si usassero sempre questo metro e questa misura, bisognerebbe incarcerare la metà della popolazione nazionale, dato che gli abusi edilizi sono più diffusi del raffreddore.
Va da sé che Grillo, qualora la sentenza rispecchiasse le aspettative del Pm, sarebbe vittima di accanimento giudiziario.

Se il processo si concludesse con un simile verdetto, il M5S dovrebbe correre subito ai ripari, dandosi da fare affinché la legge venisse modificata e resa consona all'effettiva gravità del reato. Ma non avverrà nulla di simile, in quanto i pentastellati, invece di contribuire a migliorare i codici, si dannano per attaccare Laura Boldrini e si perdono in mille stupidaggini, sprecando energie degne di miglior scopo.

Veniamo alla seconda grana, ancora in fieri, con cui è alle prese il guru genovese. Quella che pure abbiamo citato in apertura del presente articolo: l'invito rivolto da Grillo alla polizia e ai carabinieri a trascurare l'incolumità dei politici. Parole che Grillo poteva risparmiarsi. Viceversa le ha addirittura diffuse - si mormora - sui suoi blog.

Ebbene, che c'è di strano? Le parole non sono proiettili, non uccidono né feriscono. Dare addosso a chi le ha pronunciate e trascinarlo in tribunale è una mascalzonata da repubblica delle banane, dove la libertà di pensiero è calpestata e dove le idee non condivise dal potere sono considerate al pari delle azioni criminali.

È inammissibile che nel terzo millennio si processi qualcuno perché ha detto una frase storta, insolente, sgarbata e, nel caso di specie, surreale e, pertanto, palesemente non indicativa di un'intenzione autentica. In politica se ne dicono di fesserie, una più, una meno che volete che sia?

Ma anche qui occorre distinguere. Un conto è la magistratura, che agisce in base alle leggi di cui dispone, un altro è l'infingardaggine del legislatore che se ne infischia dell'esigenza di adeguare i codici al nostro tempo (che dovrebbe essere democratico e tollerare la maleducazione a scapito delle buona creanza).

Galera anche per una locuzione infelice? Ma per favore, smettiamola con queste manfrine finalizzate a zittire gli apoti e a disarmarli perché disturbano il manovratore (che poi non sappiamo quale volto abbia). La giustizia affronti le questioni serie, e la politica la ponga nelle condizioni di non essere ridicola agli occhi della gente.

2. NO TAV, PERCHÉ SONO SBAGLIATI QUEI NOVE MESI A GRILLO
Francesco Merlo per La Repubblica

Di sicuro è giuridicamente bene argomentata, ma l'ipotesi di reato, istigazione alla disobbedienza, contestata dalla procura di Genova a Beppe Grillo suona strampalata: patafisica applicata alla giurisprudenza. E i nove mesi di reclusione, chiesti dalla procura di Torino, per violazione dei sigilli di una baita durante una manifestazione No Tav, sono un'esagerazione.

Soddisfano le tifoserie ma trasformano il diritto in un'arma politica, in un bastone punitivo. È vero che Beppe Grillo ha incitato, ha aizzato, ha insultato, e qualche giorno fa si è spinto sino a trasformare la sua bacheca web in un muro di latrina sul quale scrivere oscenità contro la presidente della Camera, Laura Boldrini. E molti di noi da tanto tempo pensano che il grillismo è un orrore politico. Ma questa offensiva della magistratura, deformata dalla voglia di offenderlo, è un'invasione di campo.

So bene che la mia solidarietà non gli interessa e che, alla critica politica, Grillo preferisce questa enormità dei pm che in fondo avvalorano le sue borie di Davide contro Golia, di testimone di libertà contro la tirannia, di bandito nella foresta di Sherwood. È una soperchieria insomma controproducente ed è musica alle orecchie di Grillo, il quale già quando fu denunziato, in faccia ai carabinieri incrociò i polsi come per farsi ammanettare.

Si crede Gobetti, si spaccia per un Danilo Dolci settentrionale, si traveste da Alexander Langer. Ovviamente è un imbroglio: Grillo è un luddista sfascia tutto. Quelli erano liberali e pacifisti, nutriti di libri e di ideali, lui è illiberale e attaccabrighe, con il ghigno triste dell'arruffapopolo di talento.

Ebbene, proprio per questo gli eccessi giudiziari lo rafforzano, come un barattolo di spinaci rafforza Braccio di Ferro. Certo i magistrati di Genova e di Torino non sono degli sprovveduti, hanno a che fare i con rigurgiti del terrorismo e con le violenze dei No Tav che a volte hanno trasformato la Val di Susa «in un centro sociale a cielo aperto» come ha scritto il nostro Paolo Griseri. Ma Grillo fa politica, in Parlamento come in strada, contro l'alta velocità, contro i termovalorizzatori e contro tutto ciò che si muove ed è moderno, televisione compresa.

Ed è politica anche la disobbedienza che predica e che sta al suo movimento come la lotta di classe stava al Pci. Persino le cesoie e la sega che ha usato per entrare nella baita Clarea sono, almeno sino ad oggi, politica e non corpi di reato.

Dunque alla fine questi capi di imputazione sembrano anch'essi prodotti della paccottiglia complottistica inventata dalla Casaleggio associati, insieme ai bavagli ostentati alla Camera, all'impeachment, alla scatoletta di tonno, alle urla "boia chi molla", "al golpe al golpe", "siete tutti mafiosi" ... Con Grillo nel ruolo, finalmente di nuovo comico, del dissidente sovietico, dell'eroe che si batte contro il regime e contro chi vuole fare della democrazia un recinto di prepotenza.

Lo so che i paragoni sono pericolosi, ma c'è un precedente che mi riporta alla mia giovinezza. Quarant'anni fa, per combattere le violenze del Msi di Almirante, molte procure d'Italia, da Milano sino a Catania, lo misero sotto inchiesta. E certo allora le ragioni erano ben più solide, perché c'erano i picchiatori, le botte dei cuori neri, gli esplosivi ...

Ma quando arrivarono alla richiesta di sciogliere il Msi con articoli e commi, di dichiararlo fuori legge, ci fu il cortocircuito. Era il 1971, e quel piccolo brutto partito, erede del fascismo, divenne il primo partito in Calabria, in Sicilia, a Napoli: tre milioni di voti.

 

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