I GRILLI SICULI RASI AL SUOLO: GLI INDAGATI NON SONO AVEVANO RICOPIATO LE FIRME (GIÀ QUELLO UN REATO), MA NE AVEVANO AGGIUNTE DI FALSE. LO CONFERMA LA ‘PENTITA’, LA DEPUTATA REGIONALE CLAUDIA LA ROCCA - BEPPONE ATTACCA ZANDA E IL SUO RIDICOLO APPELLO ALLE FORZE ‘DEMOCRATICHE’ A COALIZZARSI CONTRO I 5 STELLE
Felice Cavallaro per il Corriere della Sera
Da «sospesi» continuavano a frequentare Montecitorio e a svolgere la loro attività di parlamentari. «Pur senza mettere piede negli uffici del M5S», giurano Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino, i presunti gran manovratori delle firme false che, dopo 4 mesi di indagini e «gogna» grillina, non s' aspettavano una accelerazione della Procura di Palermo, pronta ieri a chiederne il rinvio a giudizio con altri 11 indagati.
Compreso il cancelliere che in Tribunale certificò 2.000 firme tutte d' un colpo, anche quelle ricopiate in una notte di aprile per non perdere il turno delle Comunali del 2012.
Storia di 5 anni fa, adesso rilanciata nella polemica politica mentre il Pd chiede conto a Grillo per «una finta sospensione» ironizzando anche sulle giustificazioni del vicepresidente della Camera Di Maio.
Scontro accentuato da un' altra durissima polemica dopo l' articolo del senatore Luigi Zanda che sul Foglio prospetta l' ipotesi di una grande alleanza fra tutti i partiti contro i 5 Stelle. E Grillo contrattacca: «Eversivo. È una guerra alla volontà popolare».
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Nel dibattito entrano i senatori pd con una nota: «Il bastone di Grillo si abbatte contro il Foglio e il presidente Zanda. M5S è già oltre la democrazia rappresentativa. Lo stalkeraggio contro i giornalisti sgraditi, finanziato con soldi pubblici, lo conferma drammaticamente».
Nella storia di 5 anni fa il protagonista resta Riccardo Nuti, seppure rimasto al palo, senza entrare in consiglio comunale.
Per un soffio. Per lo sbarramento del 5%. Rendendo vano lo sforzo degli amanuensi chiamati a raccolta la notte del 3 aprile, quando si accorsero che nei moduli era stato indicato un indirizzo erroneo. Per evitare nullità, militanti e candidati ricopiarono le firme, aggiungendone però secondo l' accusa tante false. Ed è questa la versione avallata dal procuratore aggiunto Bernardo Petralia e dalla pm Claudia Ferrari che hanno riaperto indagini dimenticate solo dopo le insistenti inchieste tv delle Iene .
Una versione avvalorata da una pentita, la deputata regionale Claudia La Rocca che con il suo collega Giorgio Ciaccio ha svelato i retroscena di quella notte.
Adesso turbati perché figurano nella richiesta dei pm. Come l' attivista Samantha Busalacchi, Pietro Salvino, marito di Claudia Mannino, e Riccardo Ricciardi, marito della deputata Loredana Lupo, non coinvolta.
Rischiano il processo anche altri tre candidati del 2012, Giuseppe Ippolito, Stefano Paradiso, Toni Ferrara e Alice Pantaleone. Infine, dito puntato dai pm contro l' avvocato Francesco Menallo, l' ex militante M5S che mise le presunte firme false sotto gli occhi del cancelliere Giovanni Scarpello, finito nella tempesta per averne attestato con leggerezza l' autenticità.
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Di Vita e Mannino, accusate con Nuti di falso e violazione di un decreto regionale del 1960 che recepisce la legge nazionale sulle consultazioni elettorali, sono convinte di essere vittime di «una montatura» nata fra i militanti M5S: «È chiaro il tentativo di levarci politicamente di mezzo per avere campo libero».
Loro parlano di una faida interna sfociata nella recente candidatura a sindaco di Ugo Forello.
Velenoso tema di una campagna elettorale con echi nazionali, visto che scattano immediate le punzecchiature del Pd. Come fa il capogruppo dem alla Camera, Ettore Rosato, contestando Di Maio quando difende lo staff sulle sospensioni dei tre indagati: «Sospesi da cosa? Guardate sul sito della Camera, risultano tutti ancora del M5S, intervengono per conto del gruppo...».
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