SAPETE CHI FU IL PRIMO A CONTATTARE MONTI PER PALAZZO CHIGI? MASSì, IL MAGO DALEMIX! - NELL’AUTUNNO DEL 2010, UN ANNO PRIMA CHE RE GIORGIO CONGEDASSE IL BANANA - NON SI SA SE IL MANDANTE FOSSE NAPOLITANO O SE BAFFINO AGISSE IN AUTONOMIA MA SI SA CHE IL PROFESSORE ACCETTÒ MA A TRE CONDIZIONI: NIENTE URNE, CHIAMATA DAL QUIRINALE E SOSTEGNO TRASVERSALE - CON IL MONTI-BIS INEVITABILE, IL BOCCONIANO STAVOLTA INTENDE METTERE LA FACCIA COME CANDIDATO PREMIER?...

Bruno Manfellotto per "l'Espresso"

La vicenda che qui si racconta si snoda lungo tre capitoli, il primo finora inedito, l'ultimo che si scriverà solo nelle prossime ore. Ricostruirla ora che già siamo in campagna elettorale - che si voti ad aprile o prima - e si tenta un primo bilancio del lavoro del governo, una "Monti review", come l'abbiamo chiamata in copertina, è assai istruttivo. Specie pensando alla speranza coltivata da molti, e soprattutto nelle cancellerie d'Europa, che a succedere a Monti sia lo stesso Monti.

La storia comincia a Milano, più o meno nell'autunno del 2010, a casa di un noto professionista. Approfittando della sua amicizia, Massimo D'Alema gli aveva chiesto di incontrare riservatamente Mario Monti, allora presidente dell'Università Bocconi ed editorialista del "Corriere della Sera" dalle cui colonne non risparmiava critiche al governo Berlusconi.

Accusandolo per esempio di «illusionismo»: «... di fronte al magnetismo comunicativo del premier, molti credono che l'Italia - oltre ad avere, anche per merito del governo, riportato indubbiamente meno danni di altri Paesi dalla crisi finanziaria - davvero non abbia gravi problemi strutturali irrisolti, anche per insufficienze di questo e dei precedenti governi. Ma, come ha detto il presidente Napolitano, «non possiamo consentirci il lusso di discorsi rassicuranti, di rappresentazioni convenzionali del nostro lieto vivere collettivo». Appunto.

Perché, dunque, quella cena? D'Alema spiegò al suo interlocutore che il governo Berlusconi si stava avviando alla fine, che la crisi finanziaria, il caso bunga-bunga e il discredito che ne era derivato nel mondo ne avrebbero accelerato la consunzione e che la rottura con Fini sarebbe stato il grimaldello per rompere un equilibrio ventennale. E quindi fine dell'era berlusconiana, nascita di un nuovo governo. Fu a questo punto che D'Alema pose la domanda che gli stava più a cuore: «Sarebbe disponibile ad assumere responsabilità politiche e di governo?». Un altro professore, com'era già stato con Romano Prodi.

La risposta fu immediata ed esplicita. La disponibilità ci sarebbe stata, certo che sì, argomentò Monti, ma a tre condizioni: che l'ingresso in politica non avvenisse attraverso una campagna elettorale; che a chiamarlo all'eventuale incarico fosse il presidente della Repubblica; e, in quel caso, che a sostenere il suo sforzo fosse poi una maggioranza molto ampia, che andasse al di là delle tradizionali coalizioni di centro destra e centro sinistra. Chiarissimo.

Non sappiamo se le avances di D'Alema nascessero da iniziativa personale o la sua fosse piuttosto una missione per conto terzi; sappiamo invece che le cose non sarebbero precipitate così rapidamente e che il ciclone Fini sarebbe stato vanificato dalla compravendita di deputati da parte di Berlusconi, il cui governo si sarebbe trascinato ancora per mesi.

Ma quando nel novembre 2011 sarà Giorgio Napolitano a chiudere la parentesi berlusconiana e ad avere l'intuizione di un governo tecnico-politico - secondo capitolo della nostra storia - ecco quelle tre condizioni rispuntare: per Mario Monti non ci sarebbe stata campagna elettorale, né ora né mai, grazie all'accorta trovata della nomina a senatore a vita; una settimana dopo, l'incarico di formare il governo gli sarebbe stato offerto non su indicazione dei partiti, ma su proposta del Capo dello Stato; e a sostenerlo sarebbe accorsa una maggioranza ampia, "strana": centro, sinistra e destra. ABC.
Perché dunque una vicenda "istruttiva"?

Perché ora che si riparla di elezioni, anticipate o no, ecco avvicinarsi la terza puntata del romanzo, che però ricomincia più o meno da due anni fa: i partiti sono pronti o no a spendere il nome di Monti per il governo che verrà? E il professore accetterebbe di comparire come candidato premier in una lista a suo sostegno?

Il Capo dello Stato che sceglierà il premier incaricato agirà di sua iniziativa o su indicazione dei partiti? E a farlo sarà Napolitano o il suo successore, insomma si voterà ad aprile o prima? Sono le stesse domande che Hollande, Obama, Merkel, Putin, Katainen rivolgono a Monti appena lo vedono. E alle quali non è ancora possibile rispondere.

 

 

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