TURBANTI GUERRIERI – IL MAGGIORE SIKH VINCE LA SUA BATTAGLIA E PUÒ SERVIRE L’AMERICA SENZA RINUNCIARE AGLI ATTRIBUTI DEL SUO CREDO
Federico Rampini per "la Repubblica"
Un'antica stirpe di guerrieri indiani l'ha spuntata su Full Metal Jacket. La rigidità dei reclutatori e addestratori nella U.S. Army è stata sconfitta da un Sikh. Il diritto a servire l'America sotto le armi pur continuando a indossare il turbante, a portare capelli lunghissimi e baffoni "imperiali", segna una pietra miliare nell'etichetta delle forze armate Usa.
La storia del maggiore Kamaljeet Singh Kalsi, 36 anni, attualmente capo dell'ospedale militare di Fort Bragg in North Carolina, è approdata sul New York Times. Con tanto di maxi-ritratto fotografico del protagonista di questa battaglia. Non un militare qualsiasi, un eroe: decorato con la Bronze Starin Afghanistan, dove è stato in servizio al fronte per sette mesi nel 2011, dirigendo un ospedale da campo nella provincia di Helmand. Per questo suo curriculum il maggiore Kalsi - cittadino americano cresciuto nel New Jersey - è riuscito dove tanti altri avevano fallito prima di lui.
Ha ottenuto che sia rispettato il suo diritto a mantenere sotto le armi tutti gli attributi esterni della sua religione, barba capigliatura e turbante. Fanno parte dei cinque dettami della fede Sikh, una religione fondata nel XV secolo nell'India nord-occidentale, una versione monoteista ed egualitaria dell'induismo.
In alcune interpretazioni la religione Sikh è un induismo "riformato" con elementi mutuati dall'Islam. Per esempio l'abolizione delle caste. Essendo da sempre una minoranza, nei confronti di induisti e musulmani, i Sikh formarono delle milizie per difendersi, e svilupparono una "etica guerriera" che ne ha fatto dei combattenti rinomati.
Commando speciali di Sikh furono dispiegati dall'esercito imperiale britannico, fino alla seconda guerra mondiale. Tuttora in India i Sikh sono un'elevata percentuale dei militari, più che proporzionale rispetto al loro peso sulla popolazione.
«Se proprio ci tieni a servire il tuo paese, tagliati quella barba», fu il primo comando che il sergente-reclutatore urlò a Kalsi. «L'America non chiede di scegliere tra la propria religione e la patria. Possiamo essere ottimi soldati e Sikh allo stesso tempo» fu la risposta di Kalsi. Da lì cominciò la sua battaglia: Kalsi si è fatto appoggiare dai parlamentari del suo collegio, e ha ottenuto una prima "eccezione" ufficiale al rigido protocollo che regola le apparenze dei soldati americani.
Per lui questa battaglia di principio è altrettanto importante di quella che si svolse dopo la seconda guerra mondiale per de-segregare le unità di combattimento (dove i neri erano separati), o più di recente per aprire le forze armate alle donne in ruoli di combattimento, ai gay che non vogliano nascondere il proprio orientamento.
Ai Sikh è dovuto un "risarcimento" particolare: poiché è difficile per un occidentale distinguerli nelle apparenze da popoli islamici, alcuni di loro furono vittime di violente aggressioni negli Stati Uniti dopo l'11 settembre (l'ultima, una strage di Sikh ad opera di un fanatico della "supremazia bianca", l'anno scorso a Milwaukee). Per Kalsi, «più si vedono in giro dei soldati, poliziotti e pompieri col turbante, più ci sentiremo integrati nella stessa comunità ». In tutta l'America ce ne sono 500 mila, concentrati soprattutto a New York e in California.
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