MAHONY AL CURRY - UNA SFILZA DI COPERTURE E OMISSIONI SUL GROPPONE DEL CARDINALE DI LOS ANGELES - SPUNTANO LE LETTERE DEL SUO COLLABORATORE: “LE FAMIGLIE SONO DEVOTE E NON VOGLIONO GRANE”, “I BAMBINI NON SONO TRAUMATIZZATI” - NESSUNA COLLABORAZIONE CON LA POLIZIA MENTRE I SACERDOTI SOTTO ACCUSA SCAPPAVANO IN MESSICO…

Francesco Battistini per il "Corriere della Sera"

Primo, minimizzare l'accaduto e zittire la coscienza: «I bambini non sono traumatizzati...». Secondo, convincere le pecorelle che si tratta d'un buon pastore che s'è smarrito: «Le famiglie dei chierichetti vogliono solo che quel sacerdote riceva aiuto e sia messo in condizione di non fare più queste cose».

Terzo, e più importante, evitare le indagini della polizia: «Le famiglie sono devote e non vogliono grane». È una lettera battuta ancora a macchina, su carta carbone. Con l'intestazione e la dicitura «riservata». È allegata al dossier che accusa il cardinale Roger Mahony d'avere ignorato, molte volte insabbiato qualunque denuncia giungesse sui preti pedofili. «È la dimostrazione - spiega Terry Mc Kiernan, "indignado" cattolico del gruppo Bishop Accountability - di quanto la mente e il braccio sapessero bene che cosa fare, non appena spuntava una denuncia di molestie».

La lettera è fra quelle che sono state mostrate a Mahony in quasi quattro ore d'interrogatorio, sabato, prima del Conclave. Una paginetta datata 21 gennaio 1988, firmata dal collaboratore padre Thomas Curry e indirizzata al cardinale per chiarire «un incidente» di cui si mormora in curia: due settimane prima, monsignor Curry ha ricevuto due famiglie ispaniche, «gente d'assoluta fiducia», che gli hanno raccontato le molestie sessuali d'un prete che avevano in casa.

Il prete è il messicano Nicolas Aguilar Rivera, ospite della diocesi: «La sera di Natale, siccome aveva bevuto un po' troppo e non poteva guidare, abbiamo chiesto a padre Aguilar di restare. È il catechista dei nostri bambini, così l'abbiamo sistemato nella loro stanza. Durante la notte, lui s'è infilato nel loro letto...». Informato della vicenda, riferisce monsignor Curry nella lettera, la preoccupazione prima è che la famiglia non abbia informato la direttrice della scuola, la quale «sarà costretta a rivolgersi alla polizia».

Per questo, il vicario dell'arcidiocesi si precipita dal prete pedofilo, lo mette alle strette e ottiene la promessa: l'uomo se ne andrà oltreconfine, in Messico, entro 48 ore. Nessuna denuncia, per carità. E se qualcuno vuole dettagli - Curry rassicura il cardinale - nessun problema: «Le famiglie sono della parrocchia, non vogliono grane». In fondo, «non ci sono prove dei presunti abusi».

E i bambini, monsignore ne è certo, «non sono traumatizzati»... Così s'agiva, in pensieri opere e soprattutto omissioni, all'arcidiocesi di Los Angeles. Ciò che stupisce i giudici è che il cardinale e i suoi, forse convinti d'essere sciolti dalla legge terrena, non abbiano eliminato nemmeno le carte più imbarazzanti.

«La polizia sta facendo ogni sforzo per avere la lista dei bambini molestati - annota padre Curry in un'informativa del 26 gennaio 1988 - i parroci sono riluttanti. E io do loro ragione».Non possumus, concorda il cardinale in un'altra lettera: «Non possiamo dare informazioni del genere, qualunque sia il motivo per cui ce le chiedono». Del resto, come gli fa sapere anche monsignor Juan Arzube, collaboratore a sua volta coinvolto in vicende di molestie: «Quanti preti sono completamente senza peccato, se si valutano dieci anni della loro vita?».

A Los Angeles, pensa la polizia, per i religiosi «problematici» era facile farla franca. Non si spiegano sennò i tredici preti fuggiti in Messico e ancora ricercati, nonostante l'abbondanza di segnalazioni sul loro conto. Negli archivi diocesani non c'è traccia di denunce penali. Più spesso, si leggono missive che tendono ad annacquare le accuse. È il caso di padre Fidencio Silva Flores, per quindici anni missionario a Long Beach e responsabile per la pastorale dei giovani ispanici.

Quando emergono le prove di 25 abusi su minori, padre Silva «lascia il servizio» (così è scritto nella scheda dell'Arcivescovado, senza dettagli) e sparisce: processato, ricercato, sette anni dopo si scopre che celebra ancora messa in una parrocchia messicana. Anche la storia di padre Willebaldo Castro fa pensare: denunciato per atti di libidine su un sedicenne, già negli anni 70 inibito dalla Congregazione per la dottrina della fede, è a Los Angeles che il prete trova la benevolenza delle gerarchie, le quali ne sottolineano il ravvedimento, «certamente farà molto bene alle anime», e ne chiedono l'«opportuna reintegrazione ad experimentum».

Dov'è finito padre Willebaldo? In Messico, pure lui: inseguito da accuse di nuove molestie. «Caro Papa - scrisse nel 1993 una vittima, ormai adulta, a Giovanni Paolo II - io fui molestato la prima volta da bambino al campeggio di St. Malo, Colorado. Ho scoperto che quel prete oggi è in una parrocchia di Los Angeles. Ho informato tutti, anche il cardinale Mahony, degli orrori che dovetti subire. In dieci anni, non ho ricevuto una parola».

 

 

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