GIOCHI LESBO PER OBAMA – COME RISPONDERA’ IL MACHO PUTIN ALLA PROVOCAZIONE DELLO SCHIAVETTO DI MICHELLE (DUE EX ATLETE LESBICHE ALLA GUIDA DELLA DELEGAZIONE AMERICANA A SOCHI)?

Vittorio Zucconi per "la Repubblica"

Indifferente ai miti e alla retorica dello sport olimpico, la politica si è sempre scaldata, e spesso bruciata, le mani al calore della fiamma olimpica. La scelta giustamente provocatoria fatta da Barack Obama di affidare la bandiera americana per le Olimpiadi di Sochi a due ex atlete dichiaratamente lesbiche, Billy Jean King la tennista e l'hockeysta Caitlin Cahow per umiliare Putin, è soltanto l'ennesima dimostrazione di quanto irresistibile sia quel palcoscenico a cinque cerchi per chi vuole vincere medaglie nel mondiale della politica.

Senza arrivare all'orrore e al sangue di Monaco 1972, teatro del massacro di undici partecipanti israeliani per mano dei palestinesi di Settembre Nero che volevano urlare al mondo la tragedia del loro popolo, rari sono ormai i Giochi Olimpici che nell'età moderna non abbiano visto, dietro le bandiere, i podi, le medagliette, le festose sfilate di apertura e chiusura, il pungiglione del grande gioco della politica.

Il Presidente Obama, accusato di avere subito senza volere o poter rispondere, alla criminalizzazione dell'omosessualità voluta da Putin in perfetto stile sovietico (in URSS l'omosessualità era un reato) ha scelto Sochi e le Olimpiadi Invernali per questo gesto dimostrativo. La comunità americana LGBT, lesbiche, gay, bisex e transgender, che tanto lo ha sostenuto in voti e in finanziamenti elettorali, lo richiedeva.

E' inevitabile che il paradosso di una manifestazione che pretende di esaltare insieme la "fraternità" dei popoli in competizione leale mentre eccita il nazionalismo nel cerimoniale della bandiere e nell'accanita contabilità dei medaglieri, si strappi quando abbastanza tensione esiste fra Paesi partecipanti. Il fiume carsico delle rivalità, delle antipatie, degli odi che scorre sotto la crosticina colorata dello spirito olimpico inesorabilmente affiora.

Possono essere rancori interni alle singole delegazioni, che esplodono nei pugni alzati al cielo da Tommy Smith e John Carlos contro il razzismo sul podio dei 200 metri a Città del Messico 1968, l'anno dell'assassinio di Martin Luther King, riassunti con brutale sincerità da Carlos quando disse: «Se vinco sono un americano, se perdo sono un negro».

Al contrario, l'invasione di campo della politica può essere un segnale positivo,come fu la riammissione del Sud Africa nella Barcellona 1992, dopo 31 anni di esclusione per punizione contro l'Apartheid. Ma sempre di continuazione della politica con altri mezzi, in questo caso sportivi, si tratta.

Nessuno è innocente o completamente vergine quando si tratta di mandare nello stesso letto sport e politica. Gli anni ‘30, la decade della notte nazista e fascista in Europa, furono squarciati dal lampo di Jesse Owens nella Berlino 1936, con le sue quattro medaglie buttate in faccia a Hitler e agli organizzatori che volevano in quei Giochi la canonizzazione della superiorità ariana, anche se il boss del comitato Usa, Avery Brundage, si era segretamente arreso bloccando la partecipazione di due velocisti ebrei, per compiacere i Nazisti.

I successi degli atleti, o del calcio italiano, erano invariabilmente salutati dai giornali del tempo come successi del Fascismo e tributi al Duce. Esattamente come una generazione dopo, i trionfi prodigiosi degli olimpionici della piccola DDR, la Germania del'Est, erano venduti come prove inconfutabili della superiorità del Socialismo Reale. E non della spietatezza biochimica degli stregoni del doping.

La provocazione di Obama, con la scelta della King - che costringerà Putin l'omofobo militante a ossequiare una donna che in Russia sarebbe una criminale si aggiunge al rifiuto di partecipare alle cerimonie e di inviare pezzi grossi di un'Amministrazione americana che sarà rappresentata da un'ex ministra dimissionaria, Janet Napolitano, doppio sberleffo all'ex amico Vladimir.

Ma nè la presenza di quelle due "criminali", nè l'assenza di personalità autorevoli, potrà replicare, nel campo trincerato di Sochi nel Caucauso, la lugubre crudeltà del boicottaggio di Mosca 1980, deciso da un Carter impotente, ma indispettito, dall'invasione russa
dell'Afghanistan, lanciata appena 8 mesi prima dell'accensione del braciere olimpico.

Noi giornalisti, come i partecipanti, vagavamo nel deserto di una capitale sovietica spopolata dalla deportazione di ogni possibile dissidente a cominciare da Sakharov, rarefatta di turisti, trincerata in torvi stadi senza le bandiere delle nazioni europee come l'Italia che avevano accettato di partecipare soltanto con i colori generici del CIO.

E assistemmo a un altro funerale della mistica olimpica, quando già, segretamente, cominciavano a tornare le bare dei soldati russi uccisi in Afghanistan. Con immediata ricaduta, quattro anno dopo, a Los Angeles, contro-boicottata dall'Urss e dalle sue nazioni clienti.

Guerre incruente, Monaco a parte, combattute con il rifiuto di essere presenti, deciso dalle nazioni africane a Montreal. Condotte con palloni e giavellotti, testimoni da staffetta e dischi da hockey che rapidamente debordano dalle linee di gesso, dai palazzi dello sport, dagli stadi per invadere i risentimenti nazionali.Gli incontri di hockey su prato fra India e Pakistan tengono gli organizzatori con il fiato sospeso e le dita incrociate mentre una generazione di cechi e slovacchi ardevano dal desiderio di sconfiggere l'Armata Rossa con pattini e bastoni che sfidavano spesso nelle finali del torneo.

Quando la Cecoslovacchia finalmente sconfisse la Russia a Nagano,nel 1998, vincendo l'oro per 1 a 0, settantamila persone si erano raccolte sulla piazza della città vecchia a Praga per seguire, nel gelo dello 5 del mattino, la finale su maxischermi. Fu quella vittoria, più di ogni altro evento diplomatico o politico, a segnare per cechi e slovacchi la fine dell'egemonia russa sull'Est. «Noi non andavamo in pista per vincere una medaglia - dirà l'eroico portiere Cecoslovacco bombardato da dozzine di dischetti - ma per vincere una guerra».

Billy Jean e Caitlin Cahow non andranno a Sochi per vincere medaglie nè certamente guerre, anche se quella città sta al limite occidentale di un Caucaso che ha visto, negli anni seguiti alla decomposizione dell'Urss, i peggiori massacri che queste terre avessero conosciuto dalle repressioni staliniane.

Sull'altro versante dei monti scintillanti e sterilizzati che vedremo ripresi dalle telecamere per le gare, giacciono città dai nomi atrocemente celebri, come Gronzy e Beslan. Andranno perchè anche loro, come tutti gli atleti e i dirigenti e i leader politici che le hanno preceduti dal ritorno delle Olimpiadi immaginate da De Coubertin, sanno che di tutte le promesse e i proclami sotto i cinque cerchi, nessuno è più disatteso e falso dell'articolo 5: «Nessun tipo di propaganda politica, religiosa o razziale è permessa nell'area dei Giochi olimpici». Billy e Caitlin, come Jessie, Tommy, John e gli hockeysti cecoslovacchi andranno proprio per fare la più nobile delle propagande: quella per i diritti non degli
atleti, ma degli esseri umani.

 

INCONTRO TRA PUTIN E OBAMA DURANTE IL G G20- PUTIN, OBAMA, DILMA Siria OBAMA E PUTIN original king be f f f f a c jpegCaitlin Cahow USAFlag

Ultimi Dagoreport

donald trump dazi giorgia meloni

DAGOREPORT! ASPETTANDO IL 2 APRILE, QUANDO CALERÀ SULL’EUROPA LA MANNAIA DEI DAZI USA, OGGI AL SENATO LA TRUMPIANA DE’ NOANTRI, GIORGIA MELONI, HA SPARATO UN’ALTRA DELLE SUE SUBLIMI PARACULATE - DOPO AVER PREMESSO IL SOLITO PIPPONE (‘’TROVARE UN POSSIBILE TERRENO DI INTESA E SCONGIURARE UNA GUERRA COMMERCIALE...BLA-BLA’’), LA SCALTRA UNDERDOG DELLA GARBATELLA HA AGGIUNTO: “CREDO NON SIA SAGGIO CADERE NELLA TENTAZIONE DELLE RAPPRESAGLIE, CHE DIVENTANO UN CIRCOLO VIZIOSO NEL QUALE TUTTI PERDONO" - SI', HA DETTO PROPRIO COSI': “RAPPRESAGLIE’’! - SE IL SUO “AMICO SPECIALE” IMPONE DAZI ALLA UE E BRUXELLES REAGISCE APPLICANDO DAZI ALL’IMPORTAZIONE DI MERCI ‘’MADE IN USA’’, PER LA PREMIER ITALIANA SAREBBERO “RAPPRESAGLIE”! MAGARI LA SORA GIORGIA FAREBBE MEGLIO A USARE UN ALTRO TERMINE, TIPO: “CONTROMISURE”, ALL'ATTO DI TRUMP CHE, SE APPLICATO, METTEREBBE NEL GIRO DI 24 ORE IN GINOCCHIO TUTTA L'ECONOMIA ITALIANA…

donald trump cowboy mondo in fiamme giorgia meloni friedrich merz keir starmer emmanuel macron

DAGOREPORT: IL LATO POSITIVO DEL MALE - LE FOLLIE DEL CALIGOLA DELLA CASA BIANCA HANNO FINALMENTE COSTRETTO GRAN PARTE DEI 27 PAESI DELL'UNIONE EUROPEA, UNA VOLTA PRIVI DELL'OMBRELLO MILITARE ED ECONOMICO DEGLI STATI UNITI, A FARLA FINITA CON L'AUSTERITY DEI CONTI E DI BUROCRATIZZARSI SU OGNI DECISIONE, RENDENDOSI INDIPENDENTI - GLI EFFETTI BENEFICI: LA GRAN BRETAGNA, ALLEATO STORICO DEGLI USA, HA MESSO DA PARTE LA BREXIT E SI E' RIAVVICINATA ALLA UE - LA GERMANIA DEL PROSSIMO CANCELLIERE MERZ, UNA VOLTA FILO-USA, HA GIA' ANNUNCIATO L'ADDIO ALL’AUSTERITÀ CON UN PIANO DA MILLE MILIARDI PER RISPONDERE AL TRUMPISMO - IN FRANCIA, LA RESURREZIONE DELLA LEADERSHIP DI MACRON, APPLAUDITO ANCHE DA MARINE LE PEN – L’UNICO PAESE CHE NON BENEFICIA DI ALCUN EFFETTO? L'ITALIETTA DI MELONI E SCHLEIN, IN TILT TRA “PACIFISMO” PUTINIANO E SERVILISMO A TRUMP-MUSK...

steve witkoff marco rubio donald trump

DAGOREPORT: QUANTO DURA TRUMP?FORTI TURBOLENZE ALLA CASA BIANCA: MARCO RUBIO È INCAZZATO NERO PER ESSERE STATO DI FATTO ESAUTORATO, COME SEGRETARIO DI STATO, DA "KING DONALD" DALLE TRATTATIVE CON L'UCRAINA (A RYAD) E LA RUSSIA (A MOSCA) - IL REPUBBLICANO DI ORIGINI CUBANE SI È VISTO SCAVALCARE DA STEVE WITKOFF, UN IMMOBILIARISTA AMICO DI "KING DONALD", E GIA' ACCAREZZA L'IDEA DI DIVENTARE, FRA 4 ANNI, IL DOPO-TRUMP PER I REPUBBLICANI – LA RAGIONE DELLA STRANA PRUDENZA DEL TYCOON ALLA VIGILIA DELLA TELEFONATA CON PUTIN: SI VUOLE PARARE IL CULETTO SE "MAD VLAD" RIFIUTASSE IL CESSATE IL FUOCO (PER LUI SAREBBE UNO SMACCO: ALTRO CHE UOMO FORTE, FAREBBE LA FIGURA DEL ''MAGA''-PIRLA…)

giorgia meloni keir starmer donald trump vignetta giannelli

DAGOREPORT - L’ULTIMA, ENNESIMA E LAMPANTE PROVA DI PARACULISMO POLITICO DI GIORGIA MELONI SI È MATERIALIZZATA IERI AL VERTICE PROMOSSO DAL PREMIER BRITANNICO STARMER - AL TERMINE, COSA HA DETTATO ''GIORGIA DEI DUE MONDI'' ALLA STAMPA ITALIANA INGINOCCHIATA AI SUOI PIEDI? “NO ALL’INVIO DEI NOSTRI SOLDATI IN UCRAINA” - MA STARMER NON AVEVA MESSO ALL’ORDINE DEL GIORNO L’INVIO “DI UN "DISPIEGAMENTO DI SOLDATI DELLA COALIZIONE" SUL SUOLO UCRAINO (NON TUTTI I "VOLENTEROSI" SONO D'ACCORDO): NE AVEVA PARLATO SOLO IN UNA PROSPETTIVA FUTURA, NELL'EVENTUALITÀ DI UN ACCORDO CON PUTIN PER IL ‘’CESSATE IL FUOCO", IN MODO DA GARANTIRE "UNA PACE SICURA E DURATURA" - MA I NODI STANNO ARRIVANDO AL PETTINE DI GIORGIA: SULLA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO AL PROSSIMO CONSIGLIO EUROPEO DEL 20 E 21 MARZO SULL'UCRAINA, LA PREMIER CERCHIOBOTTISTA STA CONCORDANDO GLI ALLEATI DELLA MAGGIORANZA UNA RISOLUZIONE COMUNE PER IL VOTO CHE L'ATTENDE MARTEDÌ E MERCOLEDÌ IN SENATO E ALLA CAMERA, E TEME CHE AL TRUMPUTINIANO SALVINI SALTI IL GHIRIBIZZO DI NON VOTARE A FAVORE DEL GOVERNO… 

picierno bonaccini nardella decaro gori zingaretti pina stefano dario antonio giorgio nicola elly schlein

DAGOREPORT - A CONVINCERE GLI EUROPARLAMENTARI PD A NON VOTARE IN MASSA A FAVORE DEL PIANO “REARM EUROPE”, METTENDO COSI' IN MINORANZA ELLY SCHLEIN (E COSTRINGERLA ALLE DIMISSIONI) È STATO UN CALCOLO POLITICO: IL 25 MAGGIO SI VOTA IN CINQUE REGIONI CHIAVE (CAMPANIA, MARCHE, PUGLIA, TOSCANA E VENETO) E RIBALTARE IL PARTITO ORA SAREBBE STATO L'ENNESIMO SUICIDIO DEM – LA RESA DEI CONTI TRA “BELLICISTI” E “PACIFINTI”, TRA I SINISTR-ELLY E I RIFORMISTI, È SOLO RINVIATA (D'ALTRONDE CON QUESTA SEGRETERIA, IL PD E' IRRILEVANTE, DESTINATO A RESTARE ALL'OPPOSIZIONE PER MOLTI ANNI)