IL LATO POSITIVO DELLA CADUTA DI GHEDDAFI? UNA PIPPA IN MENO IN CAMPO - LA FUGA DEL TIRANNO HA LIBERATO LA NAZIONALE LIBICA DI CALCIO DALLA PRESENZA DI SAADI, CHE PENSAVA D’ESSERE UN FENOMENO E SPADRONEGGIAVA (DALLE SOSTITUZIONI A COME SI DOVEVANO BATTERE I RIGORI) - UN BROCCO CHE HA GIOCATO 28 MINUTI IN TRE ANNI DI SERIE A MA CHE, FINCHÉ IL PADRE ERA AL POTERE, HA GODUTO DI RIVERENZE E SALAMELECCHI...

Davide Frattini per il "Corriere della Sera"

Adesso che Saadi non gioca più, il viaggio verso il Cairo è durato quasi venti ore. Il terzogenito del Colonnello non garantiva i gol, ma almeno elargiva le trasferte in aereo e le notti negli alberghi di lusso. La nazionale ha lasciato la città sul vecchio autobus dell'al-Ahly Bengasi, sulla fiancata il nome dei campioni locali e l'anno di fondazione: 1947, sessantaquattro anni fa, è la prima squadra nata nel Paese.

Sabato pomeriggio i libici hanno sfidato il Mozambico per la qualificazione alla Coppa d'Africa, la prima partita dopo la caduta di Muammar Gheddafi. Doppia vittoria (uno a zero) contro una nazione che ancora non riconosce il governo degli insorti e che pochi minuti prima dell'inizio ha protestato per i colori degli avversari: i dirigenti del Mozambico volevano imporre la maglia verde (ancora ufficiale) e veder innalzata la bandiera del regime. I calciatori hanno invece scelto la divisa bianca e intonato l'inno dei rivoluzionari, il vecchio «Libia, Libia, Libia» cantato fino al golpe del Colonnello nel 1969.

I veterani hanno conosciuto Saadi, che un po' fugge con gli altri fratelli e un po' negozia la resa personale, come compagno in campo: maglia numero 11, fascia di capitano, corona di monarca assoluto. «Era lui a decidere la formazione e le sostituzioni», spiega il portiere Samir Abud che l'ha affiancato anche nell'al-Ittihad. La squadra di Tripoli non trionfava da dodici anni, quando nella stagione 2001-2002 conquistò lo scudetto, allenata da Eugenio Bersellini.

Che allora per ragion di regime giudicava Saadi «un fenomeno, forte come Ryan Giggs» e pochi mesi fa ha ricalibrato il giudizio, in un'intervista ad Avvenire: «Per la Libia era bravino, da noi avrebbe potuto militare al massimo in serie D». Invece Saadi ha giocato 28 minuti in tre anni di Serie A, dai 15 d'esordio il 2 maggio del 2004 con il Perugia di Luciano Gaucci: contro la Juventus di cui era tifoso e azionista.

Abud, 39 anni, ricorda quando Saadi si presentava agli allenamenti sotto scorta, convoglio blindato e le guardie del corpo che circondavano lo stadio. «Non gli piacevo e mi ha lasciato in panchina. Ha voluto un portiere dall'estero al posto mio. Che potevo dire? Lui come giocatore era pessimo».

Khaled Hussein («stesso ruolo di Alessandro Del Piero», si presenta) dice che Saadi ha cominciato a giocare troppo tardi e «non è mai riuscito a raggiungere un buon livello». Malgrado gli investimenti, come il centometrista Ben Johnson (allora radiato dalle competizioni causa doping) assunto alla fine degli anni Novanta per la preparazione atletica. «Con Saadi abbiamo viaggiato in Svizzera, Australia, Croazia - racconta -. Allenamenti e amichevoli all'estero. Abbiamo passato tre mesi a Montecatini nel 2000».

Era sempre il figlio dell'ex dittatore a decidere tutto, prima da capitano poi da presidente della federazione calcio. «Durante una partita in Italia, c'era da tirare un rigore. Saadi si è avvicinato al giocatore e gli ha suggerito come calciarlo. Quello gli ha risposto: "Senti un po' Maradona, perché non ci pensi tu allora?". È stato cacciato dopo la doccia, biglietto di ritorno per Tripoli e addio alla nazionale».

Hussein milita nell'al-Nasra, l'altra squadra di Bengasi. I veri rivali di Tripoli e di Saadi sono sempre stati quelli dell'al-Ittihad, fino al 20 luglio del 2000, quando Gheddafi ha risolto il confronto sportivo a modo suo. All'ennesimo regalo arbitrale per la squadra di regime che giocava fuori casa, i tifosi di Bengasi hanno invaso il campo e interrotto la partita.

I tumulti sono diventati una rivolta, i manifestanti hanno assediato la sede della società e bruciato le foto di Muammar, qualcuno ha portato in strada un mulo vestito con la maglia di Saadi. Quella stessa notte gli sgherri della famiglia hanno tirato giù il memoriale dedicato a Omar Mukhtar, eroe locale della guerriglia anti-italiana, e trasferito i suoi resti in un'altra città.

Per vendicarsi contro la squadra, il Colonnello ha aspettato il primo settembre, anniversario della sua «rivoluzione»: durante le preghiere del venerdì, le ruspe hanno abbattuto il quartier generale dell'al-Ittihad. Le macerie sono ancora lì, un prato spelacchiato è il campo per gli allenamenti.

 

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