IL POMPETTA FARÀ COME PREVITI? LA VIA CRUCIS DELL’INTERDIZIONE HA UN PRECEDENTE: CI VOLLERO 15 MESI PER BUTTARLO FUORI DAL PARLAMENTO

Francesco Grignetti per "La Stampa"

Si fa presto a dire: decadenza! Le cronache parlamentari sono lì ad ammonire che quando si tratta di vendere cara la pelle, i tempi si allungano immancabilmente. Il caso Previti è illuminante. Accadeva diversi anni fa. Romano Prodi era al governo, Fausto Bertinotti presiedeva la Camera, il centrosinistra si chiamava Ulivo e il centrodestra Casa della Libertà.

La sentenza sul caso Imi-Sir della Cassazione che condannava definitivamente l'onorevole Cesare Previti a sei anni di detenzione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici fu emessa il 4 maggio 2006. Il giorno stesso a Montecitorio si mise in moto l'ingranaggio che avrebbe dovuto dichiararne la decadenza dal seggio. Ebbene, il 31 luglio 2007, quindici mesi dopo, la Camera era ancora lì che discuteva del caso.

Previti si dimise un'ora prima del voto finale che l'avrebbe sbattuto fuori, gridando alla «ingiustizia subìta». Corsi e ricorsi della storia.

Durante i quindici mesi di dibattito estenuante attorno al caso Previti, ci fu chi pensava che l'onorevole-condannato non potesse partecipare ai lavori (Pierluigi Mantini, Ulivo, subito dopo la scarcerazione: «Potrebbe venire a Montecitorio, come ogni ex-deputato, ma non in Aula»), chi riteneva la decadenza un'operazione semplice (Felice Belisario, Idv, nel novembre 2006: «Si proceda a valutare fatti, documenti, ed istanze difensive, ma lo si faccia senza dilazioni»), chi si scandalizzava perché continuava a prendere lo stipendio da parlamentare (Camillo Piazza, Verdi: «Non è giusto che Previti continui a percepirlo come nulla fosse»), chi immaginava di fare presto (Silvio Crapolicchio, Pdci, a ottobre 2006: «Il caso potrebbe passare all'esame dell'aula della Camera già nel mese di gennaio»).

Figurarsi. Prima si dovette esprimere la Giunta per le Incompatibilità, con dibattito e voto. Poi la palla passò alla Giunta per le Elezioni della Camera dei deputati, di nuovo dibattito e voto. Nel frattempo Previti aveva fatto ricorso straordinario alla Cassazione. Era riuscito a stoppare il procedimento Sme. Evitava strategicamente di presentarsi agli appuntamenti. A febbraio 2007 chiese ancora tempo per attendere una decisione della Suprema Corte. Un'altra volta erano i relatori di Alleanza nazionale che non si presentarono.

Nel frattempo in Giunta si facevano equilibrismi giuridici: il presidente Gianfranco Burchiellaro, Ds, ipotizzò una sospensione «temporanea» dalla carica. «Potrebbe sempre rientrare in Parlamento - spiegò - qualora gli venisse riconosciuta la tesi sostenuta dai suoi legali ossia che l'affidamento in prova ai servizi sociali estingue di fatto le pene accessorie, anche quelle perpetue».

Contro questa interpretazione si pronunciò però Bertinotti, perché era impossibile una «reintegrazione del mandato stesso, una volta che sia venuta meno la causa che ne abbia determinato la decadenza, a danno di un terzo che sia nel frattempo subentrato».

La questione divenne talmente grottesca, con una Camera che non riusciva a decidere per il sì o per il no, che Bertinotti stesso finì nel mirino. E di chi? Del blog di Beppe Grillo, che già cominciava a macinare ascolti. Il presidente comunista fu attaccato brutalmente da Grillo per eccesso di disponibilità e rispose piccato: «Quel che non può accadere è che sia il presidente della Camera a decidere.

La Giunta per le elezioni propone, l'Assemblea dispone. Non pretendo di convincere alcuno ad una diversa lettura della politica, solo vorrei ricordare che la Camera dei deputati, per fortuna, non è organizzata come una monarchia assoluta ma secondo il modello dello Stato di diritto».

 

 

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