WASHINGTON IN ALLARME CHIEDE A NAPOLITANO, VIA “CORRIERE”, DI RESTARE A FARE LA GUARDIA AL BIDONE ITALIA

Francesco Verderami per "Il Corriere della Sera"

Magari rimanesse Napolitano...». Come avranno valutato i partiti italiani le parole dell'ambasciatore statunitense: come un semplice auspicio o come un vero e proprio endorsement per la rielezione dell'attuale presidente della Repubblica?

E quale reazione avranno suscitato nei vertici delle maggiori forze politiche: un senso di ingerenza o piuttosto un segno di attenzione e di coinvolgimento nelle faccende domestiche? Una cosa è certa, sull'altra sponda dell'Atlantico - e nelle più importanti capitali europee - è forte il desiderio di avere certezze da Roma e una linea di continuità nelle relazioni, in questa grave crisi mondiale.

E più si affacciano sui media nomi di possibili candidati al Colle, più sale lo sconcerto e il desiderio che il Parlamento italiano confermi quello che è considerato e riconosciuto come interlocutore solido. «È un mood molto diffuso nelle cancellerie», rivela l'ex ministro degli Esteri, Franco Frattini.

Non è dunque un caso che David Thorne abbia pronunciato in vari colloqui riservati il nome di Napolitano. L'ambasciatore - che usa un linguaggio diretto in un mondo abituato alle sfumature lessicali - è molto legato al segretario di Stato. E proprio John Kerry, in visita a Roma all'indomani delle elezioni italiane, usò espressioni entusiaste nei confronti del capo dello Stato per il modo in cui aveva gestito la crisi. Al punto che a tavola - davanti a orecchie interessate come quelle di Massimo D'Alema, Gianni Letta e Romano Prodi - si spinse a dire: «Meno male che c'è Napolitano».

E non è un caso se nella settimana più difficile del suo settennato, dopo l'ultimo giro di consultazioni infruttuose per la formazione di una maggioranza di governo, il presidente della Repubblica si sia trovato costretto a manovrare tra Scilla e Cariddi, tra le regole del dettato costituzionale e la ragion di Stato, arrivando a rompere la prassi con la creazione della commissione dei saggi invece di dimettersi, come aveva pure meditato. Il fatto è che in un mondo globale non esistono più questioni locali, perché - come spiega un autorevole ministro - «le vicende interne sono ormai anche esterne. E la sovranità nazionale deve fare i conti con gli interessi comuni internazionali».

È vero che a suo tempo gli endorsement per Mario Monti non sortirono l'effetto voluto, ma è altrettanto vero che la corsa al Quirinale è diversa dalla competizione elettorale, che al momento non si vede soluzione allo stallo sull'elezione del prossimo presidente della Repubblica, sebbene si sia aperto uno spiraglio nelle trattative, con la ricerca da parte di Pier Luigi Bersani di un «metodo comune» da adottare, insieme a Pdl e Scelta civica.

Molto dipenderà dall'esito del colloquio tra il segretario del Pd e il leader del Pdl, previsto per la fine della prossima settimana. Molto, ma non tutto. Perché i giochi di interdizione sono in atto, e l'intenzione di Matteo Renzi di essere tra i grandi elettori del prossimo inquilino del Colle ne è la prova.

Il rischio è che le candidature si elidano, ed è chiaro il motivo per cui l'altra sera a Porta a porta Daniela Santanchè - interpretando Silvio Berlusconi - abbia detto: «Allora rivotiamo Napolitano». E ieri anche Andrea Romano, a nome di Scelta civica, ha definito la rielezione del capo dello Stato come «la soluzione migliore», qualora non si trovasse un accordo su un candidato dell'area moderata.

Il punto è che Napolitano continua a ripetere di voler lasciare il Quirinale. Lo fa in pubblico come in privato. «Non mi chiedete cose impossibili», ha detto venerdì alla delegazione dei montiani che - durante le consultazioni - lo sollecitava a restare come «scudo difensivo dell'Italia» nella tempesta dell'euro e dell'Europa.

E con Berlusconi, che nelle stesse ore lo ha lungamente lusingato, è stato altrettanto «gentile ma irremovibile», come racconta un testimone del colloquio. Non è un mistero che Napolitano confidi in una diversa soluzione, più volte lo hanno sentito spendersi sul nome di Amato. Ma il difficile gioco a incastro tra la scelta del suo successore e le alchimie politiche per la nascita di un governo, potrebbe far perpetuare lo stallo anche quando inizieranno le votazioni alla Camera.

Riuscirà Bersani a ottenere da Berlusconi un «appoggio esterno» al suo esecutivo, come hanno proposto ieri gli sherpa del Pd al Pdl? E Bersani - in tal caso - è disponibile all'elezione di un rappresentante «moderato» al Quirinale, come chiedono dal centrodestra? «Datemi retta, qui non se ne esce», ha detto il segretario dell'Udc Cesa a una riunione centrista: «Votiamo Napolitano subito. Non potrà dire di no».

 

GIORGIO NAPOLITANO DAVID THORNE E JOHN KERRY FOTO QUIRINALE FRANCO FRATTINI PIERLUIGI BERSANI François Hollande baguettenapolitano e merkel Andrea Romano

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