QUEL PRODINO CHE QUASI NESSUNO VUOLE STAPPARE

Fabio Martini per "La Stampa"

Da qualche tempo si concede il vezzo di firmare gli sms spediti agli amici con una chiusa spiritosa: «Romano l'Africano». Da cinque anni Romano Prodi si è allontanato dalla grande politica e si è ritagliato uno spazio extraterritoriale che è operativo ma anche mentale.

Certo, la politica domestica lo appassiona, ma non ne sente più il richiamo «fisico» e infatti, a chi capita nella sua semplice casa bolognese di via Gerusalemme e gli chiede, «Romano, ci sono novità per il Quirinale?», lui risponde puntualmente così: «Ma voi siete matti! Io sono l'uomo più felice del mondo, viaggio da un continente all'altro, sto svolgendo una missione delicata per l'Onu, lasciatemi al mio lavoro!».

Romano Prodi è un uomo orgoglioso e non intende mettersi in attesa di qualcosa che potrebbe non arrivare, ma chi lo conosce, racconta che c'è del vero nella sua ostentata prudenza: troppo profonda è stata la disillusione seguita alla seconda caduta del suo governo e la successiva crisi di rigetto.

Ecco perché, in queste ore, quando torna a leggere dichiarazioni ostili nei suoi confronti, il Professore si acciglia un po' e fatica ad immaginarsi di nuovo al centro del ring. Eppure, Romano Prodi non potrebbe dire di no e non dirà di no, se si creassero le condizioni per una sua candidatura vincente al Quirinale.

Ma ciò che resta spiazzante è il modo di «accostarsi» mentalmente e praticamente a questa eventualità. Dice un amico come Sandro Gozi: «Il Prof non è tipo da brigare, da far telefonate per orientare o caldeggiare la sua candidatura». Prodi, da cattolico, tende ad affidarsi al corso provvidenziale degli eventi, ma non arriva a stoppare i tanti amici che si sono messi in movimento per favorire la sua ascesa al Quirinale.

Il Professore e i suoi amici sanno che esistono due sole strade (in salita) che possono condurre al Colle. Una convergenza dei parlamentari grillini, scenario diventato meno probabile dopo la decisione di Grillo di indicare il candidato a Cinque Stelle attraverso una consultazione online, una designazione «popolare» che difficilmente consentirà retromarce.

La seconda strada è la più spiazzante. E parte da alcune riflessioni impostate una ventina di giorni fa del professor Arturo Parisi in diversi colloqui con Prodi e che partono da una battuta paradossale: «In una situazione come quella italiana, ci vorrebbe un De Gaulle!». Non nel senso delle terapie golliste, ma nella capacità di decidere, di chiudere stagioni estenuate («un generale come lui seppe fermare i militari»), di aprirne una nuova, segnata dalla distinzione nettissima tra schieramenti, ma nella reciproca fiducia.

Chi, meglio di un personaggio con senso delle istituzioni come Prodi potrebbe garantire - anche Berlusconi ma non solo lui che ogni potere stia al suo posto? Ragionamenti che, attraverso riservati sherpa, sono stati recapitati presso i leader del centrodestra, alcuni dei quali - ecco la novità - hanno cominciato a riflettere. E Berlusconi come ha reagito?

«Certo, sarebbe stato meglio se i match Prodi-Cavaliere non si fossero conclusi con un 2-0 perché l'orgoglio di Berlusconi pesa...», dicono dal quartier generale del Cavaliere. Eppure, quel tipo di ragionamento sta cominciando a farsi strada, a sentire un personaggio influente nella Lega come il vicepresidente dei deputati Gianluca Pini: Prodi? «Ha vestito una casacca politica ben chiara, però in questa corsa lo vedo molto più outsider».

Certo, Prodi dovrebbe essere sostenuto a spada tratta dal Pd. Bersani non parla con Prodi da settimane, nel gotha, il Professore non è mai stato amato e la stessa ostilità viene dai «giovani turchi».

Più simpatia nel rinnovatissimo gruppo parlamentare, nel quale un personaggio come Pippo Civati si dice sicuro del favore che circonderebbe una candidatura del Professore: «Leggo - scrive Civati sul suo blog - che 120 parlamentari del Pd sarebbero pronti a firmare una lettera per dire che Prodi non va bene, perché troppo divisivo. Il bello del centrosinistra è che per non sembrare divisivo verso Berlusconi, è divisivo verso gli elettori. Che infatti non lo votano più». Ma un altro argomento importante lo porta uno della «vecchia guardia» come Beppe Fioroni: «Al Paese serve un Presidente di garanzia e al Pd un candidato con un profilo, che non alimenti le dietrologie dei retroscena».

 

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