TRISTIANIA - L’UTOPIA DI CHRISTIANIA, LA FAMOSA COMUNE HIPPY AL CENTRO DI COPENAGHEN, SVANISCE - DA QUALCHE ANNO LE AUTORITÀ CERCAVANO DI FARLA CHIUDERE, MA DOPO LUNGHE TRATTATIVE, HANNO DECISO DI VENDERE A CONDIZIONI AGEVOLATE IL TERRENO AGLI ABITANTI - CHRISTIANIA NACQUE NEL 1971, E DA ALLORA VIVE IN COMPLETA AUTONOMIA, CON LE DROGHE E IL SESSO LIBERO - MA ULTIMAMENTE È DIVENTATA MOLTO PIÙ COMMERCIALE: AI BANCHETTI CON LA MARIJUANA, GLI ABITANTI PREFERISCONO I PARCHEGGI…

Anais Ginori per "La Repubblica"

Quanto vale la fine di un'utopia? Settantasei milioni di corone danesi, poco più di 10 milioni di euro. Il contratto è stato firmato, dalla banca è già partito il primo acconto. Quella che si è svolta negli uffici del ministero della Difesa potrebbe sembrare una transazione immobiliare come tante. Lo Stato danese cede a privati un terreno demaniale, trentotto ettari nel centro di Copenaghen. Solo che il lotto venduto non è uno qualsiasi. Si chiama Christiania, è la più famosa comune d'Europa, uno degli ultimi esperimenti sociali tramandati dagli anni Settanta.

In questa città libera", dove mille residenti hanno vissuto per quasi mezzo secolo in totale autarchia, sta accadendo qualcosa di impensabile. Arrivano le banche, il capitalismo, la proprietà privata. Un'eresia. I ribelli che nel 1971 avevano occupato la base navale nell'isola di Christianshavn, sognando di costruire una società più giusta e sfidando lo Stato con l'inno "I kan ikke sla os ihjel", "non riuscirete ad ucciderci", si sono arresi. Hanno accettato le leggi del mercato, barattando il miraggio di una rivoluzione con la certezza del mutuo a tasso fisso. Adesso sono diventati regolari contribuenti del fisco, hanno persino chiesto l'aiuto della polizia per mandare via le bande criminali che spacciano nelle loro strade.

È una buona o una cattiva notizia? Comunque la si pensi, dopo un decennio di contenziosi, manifestazioni, scontri anche violenti, è stata finalmente trovata una soluzione. Christiania potrà continuare a esistere ma in cambio deve vendere un po' della sua anima. «Normalizzarsi», come ripete il governo. Dal primo luglio l'immenso parco, tra ex caserme dipinte di graffiti psichedelici, tempietti buddisti e il mercatino di marijuana, un dedalo di costruzioni decadenti, da "casabanana" a "elicottero invisibile" fino all'ovvio "woodstock", è diventato proprietà privata.

Proprio di coloro che un tempo teorizzavano lo spazio libero, pubblico, gratuito. I "christianiti", come si chiamano gli abitanti dell'enclave dedicata a re Christiano IV, hanno creato una fondazione che ha riacquistato dallo Stato l'intera area con vantaggioso sconto: la stima immobiliare è venti volte inferiore a quella di mercato. Così, dall'anarchia del peace&love ora si ritrovano a discutere di interessi da pagare alle banche, tasse allo Stato, riscossione di affitti, seppur calmierati rispetto al resto della città.

«Capisco lo scandalo ma era l'unico modo di salvare Christiania» spiega Knud Foldshack, l'avvocato che ha condotto la trattativa in nome e per conto dei 900 residenti, tra cui duecento bambini. Anche se la popolazione di Christiania è invecchiata, c'è stato un ricambio. Sono arrivate nuove coppie con figli, attratte più dalla natura lussureggiante che dagli ideali politici. Ormai la bohème sembra un po' alle spalle. Nei café di Christiania si beve cappuccino, non tè con funghetti allucinogeni. C'è sempre Pusher Street con i suoi banchi di hashish ed erba in pieno giorno, i cartelli che vietano di correre e scattare fotografie. Pochi metri quadrati dov'è sconsigliato venire la sera. Ma nel resto del parco, con bellissime passeggiate lungo i canali, tra uccelli selvatici e boschi incontaminati, si sono trasferiti soprattutto registi, scrittori, liberi professionisti. La loro massima ambizione? Avere più parcheggi. Non ce ne sono a sufficienza nei dintorni.

Un classico esempio di "gendrification" sulla scia di quel che accade già in altre metropoli. Solo che non doveva succedere qui, o almeno così non era stato previsto quando, il 26 settembre 1971, un gruppo di rockettari scavalcarono le recinzioni della base navale al centro di Copenaghen. Il giornalista e attivista Jacob Ludvigsen scrisse allora un articolo per annunciare l'apertura di una "città libera". «L'obiettivo di Christiania - diceva - è creare una società autogestita nella quale ogni individuo si sente responsabile del benessere e della comunità intera. Non dobbiamo mai deviare dalla convinzione che la miseria fisica e psicologica possono essere evitate».

Da allora sono accadute molte cose. I christianiti hanno fatto da soli il sistema di fognature, si sono organizzati per la raccolta di rifiuti. Hanno sempre votato le decisioni all'unanimità perché la maggioranza non è democratica. Ci sono stati momenti esaltanti come quando gli squatter hanno partecipato alle elezioni, presentando una lista autonoma composta di soli nomi, senza cognomi, come vuole la tradizione di Christiania, oppure quando gli hippy si sono vestiti da Santa Klaus per fare un esproprio proletario di libri da regalare ai bambini. Ci sono stati anche momenti bui. Il sesso troppo libero che ha portato a diverse denunce di stupro, oppure l'eroina che si stava mangiando tutto e tutti. Nel 1979 la comunità si è divisa, alla fine hanno vinto quelli che si opponevano alle droghe pesanti. Da allora sono vietate.

Il vero mistero non è insomma come mai Christiania abbia infine accettato di "normalizzarsi", ma come un gruppo di squatter danesi e non solo, più o meno illuminati, sia riuscito a sopravvivere così a lungo, restando unito pur nel culto della differenza, mantenendosi nell'illegalità a meno di un chilometro di distanza dal parlamento, in mezzo a uno dei quartieri più cari di Copenhagen. A pochi passi oggi c'è Noma, il ristorante di quello che è considerato il miglior chef del mondo e dove un pasto costa duecento euro a persona.

Il punto di rottura è stato l'avvento, all'inizio degli anni Duemila, della maggioranza di destra. Nel suo programma legge e ordine, l'allora premier Anders Fogh Rasmussen, attuale segretario generale della Nato, aveva messo la chiusura di Christiania, considerato come un'intollerabile sfida anti-sistema. Dopo varie minacce di sgombri e qualche irruzione della polizia, un anno fa la Corte Suprema ha dato ragione al ministero della Difesa, ufficialmente proprietario dei luoghi.

Alla fine il governo si è però convinto a vendere. Cedere la zona ad altri avrebbe provocato scontri e forse un danno d'immagine. Christiania è infatti la terza attrazione turistica di Copenaghen, dopo il parco di Tivoli e la Sirenetta. Nel frattempo, è anche cambiata la maggioranza. Al governo sono tornati i socialdemocratici che hanno aiutato i residenti a lanciare una raccolta fondi, con titoli chiamati Christiania Folkeaktie. Oltre 65mila persone hanno partecipato alla raccolta fondi, portando nelle casse della fondazione poco meno del 15% dei soldi necessari. La fondazione ha avuto un prestito bancario che ora dovrà rimborsare con gli affitti e le attività interne.

La comunità ha un asilo nido, un panificio, diversi bar e ristoranti, un maneggio, un teatro e un cinema, "Byen Lys", le luci della città. Esiste una fabbrica di biciclette, molto trendy e esportate fino a New York, una tipografia, una radio, un laboratorio per restaurare macchine antiche. «Andrà tutto bene. Sono convinta che per noi è un nuovo inizio» dice Tanja Fox negli uffici che vendono i Christiania Folkeaktie. Aveva quattro anni quando i genitori occuparono una delle case dell'ex base navale. Suo padre, un fotografo americano, era scappato dalla guerra in Vietnam. Tanja ha continuato a vivere in quella casa, dove ha cresciuto i suoi figli, ora adolescenti. «Loro però vogliono andarsene, dicono che ci sono troppi turisti, sembra di stare dentro a uno zoo».

Jean-Manuel Traimond, un francese che ha vissuto a Christiania dal 1979 al 1984, ha raccolto in un bel libro l'atmosfera poetica ed eccentrica che molti visitatori trovavano fino a qualche anno fa. C'era Oluf il Vichingo che preparava il suo tè con i funghetti allucinogeni, Marius che girava vestito da Dark Vador, il pittore Cashmere che dipingeva con il proprio sangue. Un tale Soren aveva inviato lettere ai governi europei per stabilire nuove relazioni diplomatiche mentre di sera Birthe-la-bionda voleva fare l'amore sul tetto della roulotte per essere più vicina alle stelle. Qualcuno oggi rimarrà deluso. I graffiti sbiadiscono, dentro alle case s'intravedono mobili Ikea.

L'unico brivido di illegalità rimane Pusher Street, con la sua corte dei miracoli. Molti abitanti vorrebbero cacciare gli spacciatori. «Siamo per la liberalizzazione delle droghe leggere ma in attesa di una legge, se ci sono episodi criminali la polizia deve fare il suo dovere» spiega Knud Foldshack, l'avvocato di Christiania. Come in C'eravamo tanto amati, si potrebbe intravedere la parabola di una generazione: «Volevamo cambiare il mondo e invece il mondo ha cambiato noi». Ma Christiania è già morta e risorta altre volte. E chissà che nei suoi vicoli alberati, tra "il pescatore di luna" e "l'arca della pace", non sbocci qualche altro sogno.

 

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