WIKILEAKS, UN ANNO DOPO - DOMANI PROCESSO A BRADLEY MANNING, IL SOLDATO CHE PASSO’ AD ASSANGE I CABLOGRAMMI - DOPO MESI DI TORTURA IN UN CARCERE MILITARE, IL SUO DESTINO SI INTRECCIA A QUELLO DEL BIONDO JULIAN, CHE LUNEDÌ SAPRÀ SE VERRÀ ESTRADATO IN SVEZIA PER LE FARLOCCHE ACCUSE DI STUPRO - GLI USA NON HANNO PROVE CONTRO MANNING, UN RAGAZZO COMPLESSATO CHE INVECE DI VENDERE LE INFORMAZIONI ALLA CINA, LE HA DISTRIBUITE GRATIS PERCHÉ SI SAPESSERO GLI ORRORI DELL’IRAQ E LE MAGAGNE DELLA DIPLOMAZIA…

Stefania Maurizi per "espresso.repubblica.it"

E alla fine i destini di Bradley Manning e di Julian Assange si sfiorano ancora. Venerdì 16 dicembre, a Fort Meade, nel Maryland, si aprirà il processo a Manning, il giovane soldato americano accusato di aver passato tutti i documenti segreti che hanno fatto di Assange e di WikiLeaks delle icone internazionali. Tre giorni dopo, lunedì 19 dicembre, a Londra la Corte Suprema deciderà definitivamente se Assange verrà estradato in Svezia, dove i magistrati vogliono interrogarlo in merito alle accuse di stupro di due donne.

Entrambi i casi giudiziari si trascinano da oltre un anno: Manning è stato arrestato nel maggio 2010, un mese dopo che WikiLeaks rilasciò il celebre video Collateral Murder.

Imprigionato immediatamente in una struttura di massima sicurezza, è stato tenuto per nove mesi in condizioni inumane: 23 ore al giorno in isolamento, privato della luce del sole e della possibilità di fare anche solo una camminata all'aperto, denudato per lunghi periodi e costretto a rispondere all'appello delle guardie ogni cinque minuti esatti, ventiquattro ore su ventiquattro, anche durante la notte.

Solo una mobilitazione internazionale ha potuto cambiare il suo stato di detenzione, che lo stesso portavoce di Hillary Clinton, P.J. Crowley - poi dimessosi in seguito all'esternazione- ha definito «una cosa stupida e controproducente».

Da diciannove mesi Manning è in prigione, in attesa del processo che dovrà stabilire se è davvero colpevole di aver scaricato il video - poi pubblicato da WikiLeaks con il titolo "Collateral Murder" - i 92 mila file sulla guerra in Afghanistan, i 391.832 su quella in Iraq, i 251.287 cablo della diplomazia Usa e le 779 schede personali dei detenuti di Guantanamo.

Tutti documenti segreti, conservati nella rete protetta 'SIPRnet' del Pentagono a cui Manning, come analista militare, aveva accesso legittimo, ma che, secondo l'accusa, il giovane soldato ha scaricato e diffuso illegittimamente, facendoli finire nelle mani di WikiLeaks. Se riconosciuto colpevole, secondo il Pentagono, Bradley Manning rischia il carcere a vita.

Ma è davvero lui la fonte di Assange? E quali prove lo collegano al fondatore di WikiLeaks? Una sola cosa è certa: il suo arresto ha dell'incredibile.

LA STORIA DI BRADLEY
«Sono cresciuto a Crescent, piccola città poco più a nord di Oklahoma City. Ero basso (e lo sono ancora), ero in grado di leggere all'età di tre anni e fare moltiplicazioni e divisioni dall'età di quattro, molto effeminato, incollato allo schermo di un computer da quella giovanissima età. Ero un facile obiettivo fin dall'asilo». A descriversi così è Bradley Manning stesso in una chat via computer che, stando alla versione ufficiale del suo arresto, lo ha portato direttamente in prigione.?

E' il 6 giugno 2010 e la rivista americana 'Wired', bibbia dei talenti del computer, fa uno scoop mondiale, rivelando che Bradley Manning, analista dell'intelligence Usa di 22 anni e di stanza in Iraq, è stato arrestato dopo aver confessato in una chat a un hacker mai visto e conosciuto prima e di nome Adrian Lamo, di essere stato lui a passare a WikiLeaks i documenti segreti che hanno fatto dell'organizzazione di Assange un caso mondiale.

A fare lo scoop non è un giornalista qualsiasi, ma è una vera e propria star di 'Wired': Kevin Poulsen, che firma il pezzo insieme al collega Kim Zetter. Poulsen è un reporter quarantenne che ha vissuto due vite. Nella prima è stato un cracker di alto livello, ovvero un hacker 'cattivo', di quelli che si infilano nei computer altrui per rubare dati a scopo di lucro, tipo quelli delle carte di credito.

In quella fase dell'esistenza, Poulsen ha messo a segno colpi entrati nella leggenda. Ma dopo una serie di blitz di alto profilo, è stato beccato dall'Fbi e condannato a cinque anni di prigione e a una multa pesantissima. Scontata la pena, Kevin Poulsen ha cominciato la seconda vita, brillante e ricca di soddisfazioni come la prima. Si è reinventato reporter ed è diventato uno dei migliori giornalisti del mondo specializzato in cybercrimine.

Due settimane prima dell'arresto di Manning, Poulsen aveva pubblicato un articolo su Adrian Lamo, un hacker di basso profilo, che il reporter conosceva e di cui in passato aveva raccontato varie prodezze informatiche. Nel pezzo, si descrivevano le precarie condizioni psicologiche di Lamo, che soffre della sindrome di Asperger: un disturbo della personalità molto comune tra i geni del computer e reso celebre dal libro "Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte".

Immediatamente dopo l'uscita di questo lavoro su Adrian Lamo, il giovane soldato Bradley Manning avrebbe contattato Lamo via internet e, senza averlo mai conosciuto prima, gli avrebbe raccontato in chat i suoi problemi familiari ed esistenziali e gli avrebbe confessato di essere stato lui a passare tutti i documenti ad Assange. La conversazione tra i due si sarebbe svolta sulla base di una rassicurazione: «Sono un giornalista e un sacerdote», avrebbe scritto Lamo a Manning, «Puoi trattarmi come vuoi. Questa può essere una confessione o un'intervista che non verrà mai pubblicata».

E invece no, immediatamente dopo la chat, l'hacker va all'Fbi e racconta tutto. Manning viene arrestato e una copia della chat finisce nelle mani del reporter di 'Wired,' che, pubblicandone solo alcuni stralci selezionati e tenendosi nel cassetto la versione integrale, realizza uno scoop che fa il giro del mondo.

C'è un intreccio poco chiaro tra Lamo, il giornalista di Wired e l'Fbi? C'è chi ha ipotizzato un retroscena del genere. L'ambiente hacker è notoriamente zeppo di infiltrati: si stima che, negli Usa, uno su quattro sia un informatore, che collabora con la polizia o con i servizi segreti per soldi o per convenienza. Spesso si tratta di smanettoni, finiti da giovanissimi nei guai con la giustizia a causa delle loro incursioni informatiche e che poi si riducono a fare i confidenti o addirittura le spie.

'Wired', però, ha smentito categoricamente qualsiasi coinvolgimento del suo giornalista nell'arresto di Bradley Manning, dichiarando che Kevin Poulsen si è semplicemente limitato a fare il suo mestiere, portando in redazione una notizia esplosiva, grazie a fonti confidenziali, come avviene per tutti i reporter del mondo.

C'è un'ultima stranezza in questa storia. Per oltre un anno, la rivista 'Wired' ha tenuto nel cassetto la versione integrale della conversazione tra Lamo e Manning, dichiarando che gli unici passaggi non divulgati riguardavano faccende strettamente private del giovane soldato oppure informazioni che mettevano a rischio la sicurezza nazionale. Poi nel luglio scorso ha improvvisamente pubblicato tutta la chat integrale.

Tra le frasi rimaste nascoste per oltre dodici mesi, ce n'è una che lascia dedurre che, prima dello scoop di 'Wired,' Julian Assange non ha mai sentito il nome di Bradley Manning. «Lui sa pochissimo di me», spiegherebbe il giovane soldato a Lamo, «Prende la protezione delle fonti in modo superserio. Ti invita a mentirgli [...] non vuole lavorare con te se gli riveli troppe cose della tua persona». Assange, dunque, per proteggere chi invia documenti segreti, non vuole neppure sapere con chi ha a che fare e usa l'anonimato che offre la rete per schermare le fonti.

Perché Wired non ha pubblicato questo passaggio? Ha subito pressioni dagli investigatori americani, che stanno cercando prove contro il fondatore di WikiLeaks, ipotizzando una cospirazione tra Assange e Manning?

IL MISTERO DELLA CHAT
Della conversazione che avrebbe incastrato Bradley Manning si è scritto moltissimo. Eppure pochi hanno fatto caso al tipo di chat con cui Manning e Lamo avrebbero parlato. Nei forum di crittografia, però, la voce è circolata rapidamente.

Quella chat sembra basata su "Otr" (off the record): un protocollo inventato da Nikita Borisov e Ian Goldberg, un grande crittografo che ha fatto parte dei celebri "Cypherpunks", un gruppo di "carbonari della rete" attivo fino al 2001 e a cui è appartenuto anche Julian Assange. Otr permette a due fonti di comunicare in modo protetto, grazie alla crittografia, e senza che nessuno, a posteriori, possa dimostrare che un certo messaggio proviene davvero da una determinata persona.

Dunque la chat in cui il giovane soldato avrebbe confessato di aver passato documenti a WikiLeaks è inutilizzabile come prova legale. E ad oggi, per quello che se ne sa, la giustizia americana non avrebbe in mano una sola prova in grado di collegare Julian Assange e WikiLeaks a Bradley Manning. L'intero caso contro il soldato sembra esclusivamente incentrato sui file scaricati, secondo l'accusa, illegalmente.

Eppure la chat merita di essere letta, perché se è vera e se non è una storia di copertura per offuscare chissà quali verità indicibili, allora Manning ne esce come una figura che ha agito per ragioni di coscienza. Ha violato sì la consegna del silenzio, a cui era tenuto come analista dell'intelligence, ma l'ha fatto nella convinzione di fare la cosa eticamente giusta.

Proprio come quaranta anni prima aveva fatto Daniel Ellsberg, che ha rivelato i celebri documenti segreti "Pentagon Papers", pubblicati nel 1971 dal 'New York Times'. O come Mordechai Vanunu, il tecnico israeliano che nel 1986 svelò al mondo il programma nucleare di Israele e finì incastrato da una sexy agente del Mossad.

Scrivendo a Lamo, Bradley Manning dice: «Se tu avessi mano libera su reti coperte dal segreto per lunghi periodi di tempo [...] e vedessi cose incredibili, cose terribili [..]che riguardano la vita di tutti, e che non devono finire archiviate in un server in qualche stanza buia di Washington DC...che faresti?».

Manning racconta di averli inviati a WikiLeaks, «Dio solo sa cosa succederà adesso. Spero un dibattito mondiale, discussioni, riforme. Se no, siamo finiti, come specie».

Dunque Manning spera che, facendo uscire file che rivelano crimini di ogni genere e mandandoli a un sito che li fa arrivare ai lettori di tutto il mondo, si possa innescare un cambiamento. «Se avessi avuto intenzioni maligne», spiega ancora, «avrei potuto venderli alla Russia e alla Cina e farci soldi». E invece li ha mandati a un sito che li pubblica gratuitamente, mettendoli sotto gli occhi di tutto il globo, non li venduti a una banda che le inabissa nel mondo oscuro delle spie.

Manning, che nei mesi passati in Iraq ha letto tonnellate di documenti segreti, fa anche un'analisi del popolo americano che colpisce per quanto è penetrante e sorprende particolarmente se si pensa che è l'analisi di un ragazzo di soli ventidue anni. «Noi [americani]siamo meglio per certi aspetti», scrive, «siamo molto più sottili...capaci di usare molte più parole e argomenti legali per far apparire legittima qualsiasi cosa. E questo è certamente meglio che vivere in un Paese dove puoi sparire improvvisamente nel cuore della notte. Ma il fatto che qualcosa sia più sottile, non lo rende giusto».?

Da quando è esploso il caso, i giornali di tutto il mondo hanno dissezionato la vita e l'anima di Bradley Manning. Niente è stato risparmiato a questo ventenne. Gli affari della sua famiglia sfasciata, e all'origine delle sue ferite psicologiche, hanno fatto il giro del mondo. La sua omosessualità è stata raccontata nei dettagli più intimi.

Il suo precario equilibrio psichico ha tenuto banco da Londra all'Australia, da Washington a Berlino. Le analisi della sua sfera privata e sessuale hanno offuscato tutto, azzerando qualsiasi dibattito sulla motivazione etica e politica dietro il suo gesto e sulla protezione di fonti che, come lui, si espongono ogni giorno a rischi altissimi, rivelando informazioni segrete, per ragioni di coscienza. Forse la chat è finta. Una storia costruita a tavolino per coprire chissà quali luridissime verità.

Se, però, è vera, allora Bradley Manning è un ragazzo basso, complessato, gay, incasinato e sull'orlo del crollo psichico. Ma è un eroe. Un eroe fragile.

 

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