Marco Giusti per Dagospia
Eia eia baccalà. Annamo bene. Non ci può essere apertura migliore, con l'arrivo delle truppe melonian-saviniane pronte a occupare i posti migliori dell'Italia post-draghiana di un bel ripasso sull'ascesa del fascismo e chi l'ha fortemente voluta. Ecco quindi che Le Giornate degli Autori aprono le danze con "Marcia su Roma",, documentario di Mark Cousins, prodotto da Carlo Degli Esposti, che per le sue allusioni al fascismo di oggi, Meloni compresa. potrà far storcere il naso a più critici e giornalisti di destra.
Vi dico subito che l’intervista a Donald Trump che apre il film, rispondendo alla domanda sul perché abbia citato in un tweet una frase di Benito Mussolini è strepitosa. “Era una bella frase”, bofonchia Trump, “ma lo sa che ho 14 milioni di follower, sì, tra Instagram, Facebook e Twitter?”.
E l’intervistatore: “Ma le fa piacere essere associato a un fascista?” – “Mi fa piacere essere associato a una bella frase”, risponde ancora Trump, e insiste: “Ma lo sa che ho 14 milioni di follower?”.
E’ strepitoso anche l’uso di un documentario di propaganda fascista, “A noi” di Umberto Paradisi, girato e uscito immediatamente dopo la Marcia su Roma, che viene sezionato dalla mente critica ossessiva di Mark Cousins (li definisce “44 ignobili minuti”) e sul quale aveva già lavorato a lungo Tony Saccucci, grazie al quale vengono verificati materialmente una serie di falsi storici legati alla Marcia su Roma mentre si consolida la tesi che in fondo la bravata di Mussolini era solo una messa in scena.
Una copertura mediatica, con tanto di filmato accuratamente montato, per nascondere non una rivoluzione di popolo che non ci fu o un golpe violento, ma solo un passaggio di potere, orchestrato dalla Massoneria, nella persona di Raoul Palermi, e dai poteri economici forti del paese, con la complicità del Re, per affidare l’Italia alla destra fascista, pensata come più malleabile del centro o della sinistra socialista.
Tesi sostenuta perfino dal vecchio stracultissimo film di Augusto Tretti, “Il potere”, ve lo ricordate?, giustamente inserito nel montaggio. La marcia, poi, doveva coprire, sabotandola, la vera grande marcia popolare che stava organizzando per il 4 novembre del 1022 Gabriele D’Annunzio, che avrebbe davvero potuto dar noia al re e ai poteri forti.
Ma, falsa e improvvisata che fosse, la marcia su Roma, solo per il suo valore simbolico, darà il via poi a una vera e propria presa di potere da parte di Mussolini che spingerà il paese a disastri che ben conosciamo.
Se questa parte, anche se non sono uno storico, mi è sembrata strepitosa, e mi ha fatto conoscere il film di Paradisi, che non conoscevo (confesso), la seconda parte del film, quando dal sezionamento critico di “A noi” si passa ai disastri del fascismo da allora fino a oggi con spreco di luoghi comuni, Le Pen e Meloni comprese, e con tanto di finale antifascista con Alba Rohrwacher che canta “Bella ciao” (un po’ imbarazzante, sì…), mi sembra francamente un po’ tirata via e inutile.
Con tutte queste battute di Cousins sul machismo mussoliniano e sul viagra, con una serie di spiegazioni un po’ facili che corrompono anche tutto quel che di buono ci aveva dato fino a lì il film. Magari non c’era abbastanza sostanza per costruire un film di 90 minuti tutto sul vecchio documentario, che pure arriva tre anni prima della “Corazzata Potemkin” e tredici prima de “Il trionfo della volontà” di Leni Riefenstahl, ma così si scivola spesso nella banalità antifascista che cade come da manuale nelle citazione dei film di Ettore Scola, l’inevitabile “Una giornata particolare”.
Uffa. Certo, con l’arrivo del centenario e con queste terribili elezioni alle porte, pronti, credo a scivolare nell’inferno, la rilettura di “A noi” è assolutamente da non perdere. Al grido, jacovittiano, appunto, di Eia eia, baccalà!
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