
“LA TRAVIATA” FORMULA COVID - IL REGISTA MARIO MARTONE PORTA SU RAI3 DOMANI SERA L'OPERA DI GIUSEPPE VERDI. DOPO "IL BARBIERE DI SIVIGLIA" DI ROSSINI, L’OPERA DI ROMA E "RAI CULTURA" TORNANO A PRODURRE UN FILM-OPERA - "SONO TEMPI FOLLI. E NOI NE ACCETTIAMO LA SFIDA. PER FARE QUESTO IN SOLI 5 GIORNI CI VOLEVANO 2 FOLLI COME ME E IL MAESTRO GATTI. IL TEATRO VUOTO NON L' ABBIAMO NASCOSTO. IL PUBBLICO DEVE SAPERE CHE…” - VIDEO
Paolo Scotti per "il Giornale"
Sei metri di diametro per tre e mezzo d' altezza, tre tonnellate di peso, ventisettemila cristalli di Boemia. Il più grande e sfavillante lampadario d' Europa è sceso dal suo cielo di nuvole e cherubini, lassù sulla cupola, e ora sfiora in platea il capo di cortigiane e gentiluomini che brindano nei lieti calici. «Se non ci fosse stato il Covid - considera (con una punta d' amarezza) Mario Martone - chi avrebbe fatto di questo colosso il simbolo di uno spettacolo? È stata un' idea folle. Ma sono questi tempi, a essere folli. E noi ne accettiamo la sfida».
Così, se il Covid detta nuove regole, offre anche impreviste opportunità. Impossibilitato a dirigere La traviata come vuole il teatro, il regista napoletano trasforma in teatro (come già nel felicissimo Barbiere di Siviglia inaugurale dello scorso dicembre) tutta l' Opera di Roma.
E riprende il singolare spettacolo per trasmetterlo su Raitre, domani sera alle 21,20. Attenzione, però: questa Traviata non sarà un film-opera (con riprese che durano mesi, e cantata in playback) e nemmeno la ripresa di un' opera teatrale (eseguita senza interruzioni e alla presenza del pubblico); quanto piuttosto, sintetizza Martone, «teatro che si scioglie in cinema. Quindi scene girate in cinque giorni, fuori dall' ordine cronologico e poi rimontate, ma con interpreti e orchestra che eseguono tutto dal vivo. E nella totale assenza di pubblico».
Non basta: proprio il vuoto in cui la singolare performance è immersa finisce per fornirle la principale cifra stilistica: «Privati del teatro, ci siamo impossessati del teatro intero. Così, scesi dal palco, i personaggi vivono il dramma fra platea e palchetti, lungo scale, corridoi e saloni di tutta l' Opera di Roma. Il ballo del primo atto, che si svolge fuori scena, qui è eseguito nella Sala Grigia; gli snodi esterni - con Alfredo che si reca a Parigi o che sfida a duello Duphol - sono girati nella casa esterna dell' Opera, le Terme di Caracalla».
E il rilucente lampadario della cupola scende («grazie al meccanismo che si usa una volta l' anno, per pulirlo») a incombere su sfarzi ed eccessi del rutilante mondo di Violetta: «Un oggetto-simbolo, che ne simbolizza la fatua appariscenza. Come in certi quadri di Pizzi Cannella».
E per l' ambientazione? Il regista di Noi credevamo e Il giovane favoloso crede troppo nell' attualità dell' 800, per attualizzare quello di Verdi e Dumas come ormai fanno quasi tutti i suoi colleghi. «Dunque la nostra Violetta vestirà abiti dell' 800, tratti dal repertorio del teatro e adattati da Anna Biagiotti. Io sono per la libertà assoluta in teatro. Purché sia motivata. E non diventi a sua volta una maniera; una convenzione alla rovescia».
E la protagonista? «La vedo come la vedeva Verdi: una donna che si sacrifica per amore. Ma più consapevole. Violetta non rinuncia ad Alfredo solo perché lo ama; ma anche perché sa che la sua società, chiusa e prevaricatrice, non le lascia alternative. E cosa c' è di più attuale di questo?».
Martone (che spera nell' uscita del suo ultimo film Qui rido io, con Toni Servillo nei panni del celebre attore-autore partenopeo Eduardo Scarpetta) ne è convinto: tutto in Verdi ha un preciso significato drammaturgico. Perfino le famigerate zingarelle delle danze al second' atto, mal digerite dai registi (e qui curate dalla coreografa Michela Lucenti): «Non sono di maniera, rimandano all' elemento dionisiaco, alla forte temperatura erotica in cui Violetta e i suoi amici s' immergono, per stordirsi».
Non tutto è stato facilissimo, naturalmente. Abituati a un' esecuzione frontale e col direttore bene in vista, i cantanti (la diva Lisette Oropesa è Violetta; Saimir Pirgu fa Alfredo, e Roberto Frontali papà Germont) hanno dovuto abituarsi a cineprese che li rincorrevano, li tallonavano, ne avvolgevano ogni gesto, «immergendo il pubblico direttamente dentro l' azione», e intanto buttare l' occhio ai monitor nascosti che rilanciavano loro gli attacchi del direttore Daniele Gatti. «La loro recitazione ha dovuto fondere quella teatrale, gestuale e corporea, con quella più essenziale del cinema. E come attori su un set dovevano mantenere costante la tensione espressiva, pur cantando scene differenti, mescolate fra loro».
Un lavoro massacrante, confessa Martone, «ma anche galvanizzante. L' adrenalina s' è scatenata. Tutti si sono fatti contagiare in un' intesa incandescente. Per fare questo in soli cinque giorni ci volevano due folli come me e il maestro Gatti. Senza di lui sarebbe stato impossibile». Esperienza esaltante ma - come avverte la data che scorrerà nei titoli di coda: Roma, febbraio 2021 - del tutto contingente. «Il teatro vuoto in cui lavoriamo non l' abbiamo nascosto. Il pubblico deve sapere che, dietro questo spettacolo, c' è la sofferenza della pandemia. Anche se poi, vedendolo, dovrà dimenticarsene. Perché, pur essendo una soluzione interessante, questa Traviata è solo un' alternativa. Il teatro vero resta insostituibile».