1 - DAGOREPORT
Olaf Scholz ha paura. La Germania sta andando verso la recessione. E’ diventato il paese più debole dell’Unione Europea (vedi articolo a seguire).
E non è un caso che il 78enne ex cancelliere Gerhard Schroeder, che lo scorso maggio, travolto dalle polemiche, fu costretto a mollare l’azienda energetica russa Rosneft dove era membro del consiglio di amministrazione, sia stato recentemente “perdonato” dal suo ex portavoce Scholz: il cancelliere che precedette la Merkel resterà nell'Spd nonostante i suoi rapporti con il Cremlino. Che proseguono indefessi.
A proposito del più strategico e autorevole lobbista di Putin in Occidente, sul sito EuropaToday, Dario Prestigiacomo fa notare: “Schroeder, che da cancelliere aveva di fatto inaugurato la stagione della dipendenza tedesca dal gas russo, aveva proseguito la sua carriera al di fuori della politica, riciclandosi come manager all'interno del Nord Stream AG, la società legata a Gazprom che ha costruito l'ormai famoso gasdotto al centro del braccio di ferro energetico tra Mosca, Berlino e buona parte dell'Ue.
olaf scholz gerard schroder spd
In seguito, Schroeder è stato nominato nel cda di Rosneft, altro gigante energetico russo, e si è occupato del progetto del Nord Stream 2, il gasdotto nato per raddoppiare le forniture di gas dirette in Germania, ma bloccato da Berlino dopo l'invasione della Russia in Ucraina”.
Ora i motivi per cui Scholz l’ha perdonato sono due. Il primo: Schroeder è il vero negoziatore dell’Europa con Putin, in primis per non far mancare le risorse energetiche all’economia tedesca; poi, per un negoziato di pace con l’Ucraina, si vedrà.
ROBERT HABECK OLAF SCHOLZ CHRISTIAN LINDNER
Le Germania è infatti il vero oppositore al piano di Draghi sul price-cup: un tetto congiunto dei paesi dell’Unione Europea sul prezzo del gas da imporre a Mosca. Ma Scholz ha paura: ha paura che Putin chiuda i rubinetti mandando l’industria tedesca a gambe all’aria.
2 - GAS RUSSO ED EXPORT IN CINA LA CRISI TEDESCA VIENE DA EST
Tonia Mastrobuoni per “la Repubblica”
Il destino è stato beffardo con il primo ministro verde dell'Economia della storia tedesca.nRobert Habeck aveva chiesto un superdicastero che fondesse industria e ambiente e traghettasse la Germania rapidamente verso l'era a "emissioni zero".
Invece, la guerra in Ucraina e la mostruosa crisi energetica - soltanto sei mesi fa Berlino importava il 55% del gas e un terzo del petrolio dalla Russia - hanno obbligato il leader dei "Gruenen" a diventare meno "verde", a frenare la dinamica ambientalista avviata durante la lunga era Merkel, a rimangiarsi l'uscita a breve dal carbone, ad annunciare la costruzione di due rigassificatori che importeranno anche l'inquinante metano americano ricavato dal fracking, e da mesi impazza un braccio di ferro pauroso nella maggioranza "semaforo" del governo Scholz sull'allungamento dei tempi di uscita dal nucleare.
«La Germania ha davanti a sé un inverno molto critico», continua a ripetere il ministro. Colpa di decenni di cecità, di mancata diversificazione delle fonti energetiche, dell'illusione che si potesse puntare sul gas a basso costo per garantire una transizione poco onerosa soprattutto all'energivora industria tedesca - tanto più dopo la rinuncia sia al carbone sia al nucleare.
Ma il tintinnar di sciabole nello stretto di Taiwan sta dimostrando che la crisi della Germania è più grave, se si lancia lo sguardo anche più a est della Russia, in direzione Cina. Con la cosiddetta "de-globalizzazione" e la guerra in Ucraina, il "modello tedesco" sta cominciando pericolosamente a mostrare la corda. E la crisi di quel modello rischia di travolgere l'Europa.
olaf scholz testimonianza su banca warburg 6
La tigre europea dell'export che ha colto il vento in poppa della globalizzazione per conquistare soprattutto l'Asia, per anni ha fatto finta di non vedere l'involuzione autocratica di Pechino. Dal 2016 la Cina è il primo partner commerciale della Germania: negli ultimi vent' anni le importazioni dal Dragone sono aumentate dall'1% al 10% del totale, l'export vale ormai il 7%.
«Ma il quadro, con Xi Jinping è cambiato molto », ragiona Max J. Zenglein, capoeconomista del'autorevole think tank Merics. «Il clima è nazionalistico, è più ideologico e la Cina esprime piuttosto chiaramente quali sono i suoi obiettivi: non solo in riferimento all'economia, ma anche alla geopolitica».
Durante i sedici anni dell'era Merkel, del Dragone "partner strategico", dei suoi frequenti viaggi in Cina con nutrite delegazioni di imprenditori, Berlino ha cercato di cementare un rapporto commerciale che ha reso interi settori - anzitutto quello automobilistico - estremamente dipendenti da Pechino.
PUTIN E I RUBLINETTI - BY EMILIANO CARLI
E se il "caso Kuka", lo sventato acquisto della perla della robotica tedesca nel 2016, è stata un'epifania e ha indotto il governo a introdurre una "golden rule" per proteggere le sue aziende strategiche; se la pandemia ha aperto gli occhi ai politici sui rischi di un'eccessiva dipendenza dai prodotti cinesi (a cominciare dalle mascherine), l'industria fatica ancora ad alzare gli occhi oltre l'angusto sguardo mercantilistico.
«I grandi investimenti proseguono, le grandi aziende continuano a rimanere in Cina: nell'industria non si vede ancora un ripensamento» ragiona Zenglein. «Eppure gli attuali sviluppi in Taiwan dimostrano che non si può più pensare una politica della Cina prescindendo dallo scenario taiwanese».
E quello più temuto, quello dell'invasione «imporrebbe già adesso un profondo ripensamento nei rapporti con Pechino». Il caso Russia ha dimostrato quanto sia vulnerabile la Germania agli shock geopolitici, «ma non è nulla in confronto a quanto potrebbe accadere nel caso di una rottura con la Cina».
In questi ultimi vent' anni Berlino è passata da "malato d'Europa" a leader del continente, sfruttando soprattutto la globalizzazione. Ma «l'attuale combinato disposto delle crisi russa e cinese potrebbe avere un effetto devastante anche sul cuore della sua economia: il settore manifatturiero », spiega Paolo Guerrieri, economista di Science Po, tra i massimi esperti di economia globale.
Senza l'energia a basso costo e con i mercati di sbocco ridimensionati, Berlino rischia una crisi strutturale. «Anche perché persino la sua industria dei servizi è enormemente legata al manifatturiero».
E poi ci sono i tedeschi, allarmati dall'inflazione che sta mangiando i loro risparmi, come ha rivelato in questi giorni l'Ifo. Le martellanti campagne contro i tassi bassi dell'ultimo decennio li hanno tenuti lontano dall'unico investimento razionale: l'immobiliare.
La Bild ha preferito sollecitare la loro natura di "formiche",scagliandosi contro i presidenti della Bce Draghi e Lagarde. E uno dei risultati devastanti lo ha ricordato su twitter Marcel Fratzscher, direttore dell'istituto economico Diw: «la Germania è ormai il Paese con la maggiore diseguaglianza patrimoniale dopo gli Stati Uniti». Lo 0,1% dei più ricchi possiede ormai un quinto dei patrimoni, l'1%il 35%. Soltanto qualche anno fa erano rispettivamente il 7% e il 22%.