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LA SINDROME (DI ACCERCHIAMENTO) DI GIORGIA! IL DISCORSO DELLA MELONI AD ATREJU È UN MISTO DI RISENTIMENTO E RABBIA CONTRO I NEMICI CHE MINACCIANO LA SORELLA ARIANNA, LE OPPOSIZIONI, LA STAMPA, LA CGIL, ELLY SCHLEIN, ROMANO PRODI, SAVIANO E GLI AMICI DEL GAY PRIDE. MA SOPRATTUTTO, CONTRO OSCURI “DETRATTORI” TRAVESTITI DA FANTASMI - SEMBRA CAMPAGNA ELETTORALE. PECCATO CHE LA SORA GIORGIA GOVERNA DA VENTISEI MESI IL PAESE - LA PREMIER ANNUNCIA LE DIMISSIONI DALLA GUIDA DEI CONSERVATORI EUROPEI, INCORONANDO COME SUCCESSORE IL LEADER DEL PIS POLACCO MATEUSZ MORAWIECKI
Tommaso Ciriaco per repubblica.it - Estratti
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“La via italiana” di Giorgia Meloni è un misto di risentimento, rivendicazione, rabbia. Contro la stampa. Contro i nemici che minacciano la sorella Arianna. Contro le opposizioni. La Cgil. Contro Elly Schlein e pure Romano Prodi (non sia mai tornasse davvero un grande centro cattolico e democratico). Contro Roberto Saviano e gli amici del gay pride. Ma soprattutto, contro oscuri “detrattori” travestiti da fantasmi: li evoca per un’ora dal palco, ma sono ectoplasmi senza nome e senza forma. È “il loro sistema”, dice proprio così. Quelli della “Ztl”, quelli con la “spocchia”. I “tifosi dello spread”. È il mondo di Giorgia: noi contro di loro, il bene contro il male. La destra del popolo contro i radical chic. O forse, più banalmente: è la destra al potere, senza aggettivi.
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È un richiamo alla compattezza, un avvertimento agli alleati: con me, oppure contro di me. Con il nostro popolo, insomma: e chi si smarca è perduto. Il contesto è perfetto, d’altra parte. Meloni gioca in casa. E che casa, va detto: tutto è maxi, al Circo Massimo. Maxi come le spese di un’organizzazione stellare: palco, tensostrutture, cartelloni che ricordano altri tempi e altri congressi. È la celebrazione del melonismo, mentre si apre l’anno terzo della presidente del Consiglio a Palazzo Chigi.
Da qui, la premier annuncia le dimissioni dalla guida dei Conservatori europei, incoronando come successore il leader del Pis polacco Mateusz Morawiecki. È il grande nemico dei popolari di Tusk, gli stessi popolari che l’hanno però condotta per mano verso Ursula von der Leyen e difeso questa nuova alleanza che sposta più a destra gli equilibri d’Europa.
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Meloni colpisce tutto quello che c’è da colpire, dal palco. E si concentra soprattutto sul campo largo. Non è un caso. Demolisce quello che c’è da demolire, perché teme una saldatura tra le forze progressiste e il sindacato. I sondaggi, d’altra parte, iniziano ad avvertire del rischio. E dunque, se la prende prima con Elly Schlein, con argomenti che forse mai aveva riservato alla leader dell’opposizione, arrivando a citare la sua partecipazione al gay pride e i duetti rap con gli Articolo31. Poi passa a Maurizio Landini, colpevole di aver dimenticato i lavoratori.
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Per fortuna che c’è la destra al potere che può occuparsi di loro, aggiunge. Dimentica che è la stessa destra che considera l’ultraliberista Javier Milei una super-star, ma gli applausi scroscianti coprono la contraddizione. Aspra è infine anche nei confronti di Romano Prodi, riscoprendo antiche accuse per la gestione dell’Iri e per l’ingresso della Cina nel Wto: “Di obbedienza se ne intende parecchio…”. Immancabile, arriva anche lo schiaffo contro Roberto Saviano, bersaglio buono per ogni comizio. Sembra campagna elettorale, è la celebrazione di chi governa da ventisei mesi il Paese. Finisce con l’inno nazionale, poi c’è Rino Gaetano. Dopo un’ora di rabbia, è tempo di danzare.
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