CHI HA UCCISO IL PIRATA? - LA BEVUTA “FORZOSA” DI COCA, LE FERITE SUL VOLTO, LE CHIAMATE CONVULSE DEI PUSHER E UNO STRANO BIGLIETTINO: TUTTI I MISTERI DELLE ULTIME ORE DI PANTANI NEL RESIDENCE DI RIMINI - IL PERITO: “IPOTESI OMICIDIO? INDIMOSTRABILE”
Giacomo Amadori per “Libero Quotidiano”
SCRITTE IN RICORDO DI MARCO PANTANI
A qualcuno è tornato in mente quel bigliettino abbandonato fuori dal residence riminese Le Rose, l’ultima casa di Marco Pantani. «Sono il tuo compagno, quello che pochissimi conoscono. Ok? Volevi farla finita? Bene ora ci sei riuscito». Quando il Pirata venne stroncato da un’overdose da cocaina, il14febbraio 2004, gli investigatori non trascurarono nessuna pista. Nemmeno quella dell’assassinio. E non sottovalutarono neanche questo messaggio criptico. Ma di killer non ne trovarono.
MARCO PASTONESI PANTANI ERA UN DIO
Per quella morte nel 2010 vennero condannati definitivamente per «omicidio come causa di altro reato (lo spaccio ndr)» il pusher e il corriere dei 30 grammi di polvere bianca che aveva stroncato la fibra del Pirata. Un’overdose «agevolata nel suo estrinsecarsi a livello cardiaco e successivamente polmonare dalle preesistenti patologie miocardiche indotte da un prolungato abuso della stessa sostanza » scrissero i consulenti. Due mesi prima di morire, infatti, Pantani era finito in ospedale per un’altra intossicazione acuta da cocaina e si era salvato per miracolo. Nel 2011 la Corte Suprema di Cassazione aveva assolto invece il coinquilino di uno dei due spacciatori.
Il sostituto procuratore generale Oscar Cedrangolo sottolineò di aver avuto la sensazione che«la spettacolarizzazione data dai media alla morte di Pantani,abbia spinto i giudici di merito ad una eccessiva attribuzione di responsabilità ». Insomma la pressione di giornali e tv aveva indotto gli investigatori persino a esagerare. Nella sentenza è descritta l’esistenza del Pirata a pochi giorni dalla fine.
Si era trasferito a vivere davanti alla casa dello spacciatore, bussava alla sua porta, lo supplicava con i soldi in mano. Era un tossicodipendente all’ultimo stadio che faceva un uso smodato di «bamba». Una condizione difficile da accettare per i famigliari,ma di cui erano al corrente.Dopo la morte di Pantani, uno zio medico aveva rivelato che Marco faceva uso di crack, la devastante droga sintetica che spacca il cuore, e che i genitori gli avevano chiesto di far ricoverare il figlio presso la comunità di San Patrignano.
MARCO PANTANI AL TOUR DE FRANCE
Poi, stremati dall’ennesimo litigio, erano partiti per una breve vacanza in Grecia.Dove vennero raggiunti dalla notizia della sua ultima «fuga».Adesso il nuovo avvocato della famiglia, Antonio De Rensis, giura che si trattò di un omicidio. Un’ipotesi supportata dalla nuova consulenza medico-legale del professor Francesco Maria Avato. La droga trovata nel corpo di Pantani era di più dei 30 grammi acquistati dal pusher ed era troppa (sei volte la dose letale) per essere sniffata. Per De Rensis sarebbe stata somministrata con la forza, mescolata all’acqua, anche se sulle labbra e sulle gengive non vennero trovati i segni di quella bevuta forzosa.
Ci sarebbero anche altri indizi: le ferite sul volto di Marco (escoriazioni da caduta per gli inquirenti), il rigurgito di mollica misto a cocaina vicino al cadavere (un altro tentativo di drogare il Pirata in modo coatto?), le chiamate convulse degli spacciatori dopo la morte di Marco, il disordine nella camera. In realtà quest’ultimo era più il segno del delirio che di una colluttazione, come ha ben raccontato nel suo «Ultimo chilometro» Andrea Rossini. Lo stesso trambusto lasciato in un altro albergo o nella dimora di Saturnia, dove il Pirata andava a devastarsi di cocaina.
Ai nuovi dubbi sembra aver quasi risposto, sei anni fa, il giudice di primo grado: «Non sono poi emersi elementi che possano far ritenere (...) si sia svolta una colluttazione e che Pantani sia stato indotto a forza ad assumere cocaina. (...)giova innanzitutto rimarcare come il consulente abbia radicalmente escluso che il decesso possa essere dipeso da una lesività da energia fisica, segnatamente meccanica ed esogena.
A ciò s’aggiunga che nessuno dei dipendenti della struttura ha riferito d’aver sentito voci, litigi, discussioni,provenire dalla camera la mattina del 14 febbraio». Non basta. Per il giudice «il grave disordine nel quale versava la camera (...) è del tutto compatibile con l’aggressività, il delirio paranoide, la rabbia estrema provocati dall’uso smodato di cocaina».
Mentre per simulare un’overdose, quel caos non era necessario. Il consulente del pm Paolo Gengarelli era il professor Giuseppe Fortuni, esperto di medicina legale. In questi giorni, chi ha avuto modo di ascoltarlo, ne riporta lo sconcerto: «Quelle di Avato sono ipotesi che lo stesso, in un’intervista, ha riferito con “un filo di voce” come ipotesi compatibili, ma anche indimostrabili » avrebbe commentato.
Per Fortuni la ricostruzione di legali e giornalisti è «fantasiosa e fumettistica»,anche perché nessuno evidenzia che«Pantani nel residence era in preda a un delirio da cocaina.Basterebbe ricordare cosa e come scriveva nei foglietti ritrovati nella stanza dagli inquirenti». Incredulo ha aggiunto: «Il delirio da cocaina non si realizza per un’overdose “omicidiaria”».
Nel suo sfogo Fortuni ha, infine, sottolineato che all’ispezione autoptica prese parte anche il consulente della famiglia Pantani, il professor Giorgio Gualandri «che condivise tutto il mio lavoro e le mie conclusioni». Gualandri contattato da Libero, conferma che «l’autopsia venne fatta a regola d’arte», ma non boccia a priori «un’intepretazione alternativa di quei dati oggettivi». A settembre un nuovo pm dovrà riaprire quel fascicolo ingiallito.