“CIO CHE DICIAMO E’ SEMPRE UN PO’ RIDICOLO. DIFFIDO DELLA FEDE E DI OGNI DOGMA” - IN UN LIBRO L’AUTORITRATTO DEFINITIVO DI ANSELM KIEFER, IL PIU’ IMPORTANTE ARTISTA VIVENTE – LUCA BEATRICE: "ALLA FINE DEGLI ANNI '60, FECERO DISCUTERE LE FOTO DOVE FACEVA IL SALUTO NAZISTA DI FRONTE ALLE ROVINE. POI RIEVOCÒ L'ARCHITETTURA DI ALBERT SPEER, L'ARCHITETTO DI HITLER. L'ARTISTA DICE: 'BISOGNA CONSERVARE LE TRACCE FISICHE COSÌ COME SONO, MA TRASFORMANDOLE NELLA NOSTRA MENTE'"
Luca Beatrice per “Libero quotidiano”
Pur saldamente ancorato a tematiche novecentesche, Anselm Kiefer è senza dubbio l'artista vivente più importante. Non c'è truffa, non c'è inganno, nessun bisogno di rivolgersi a spericolate sovrastrutture e retropensieri: l'arte in Kiefer è tutto ciò che si vede e ce n'è abbastanza per parlarne da decenni, mai con il tono provocatorio o giullaresco del trickster prefabbficato per il sistema ma con una sostanza culturale e una preparazione filosofica che ha pochi eguali.
Nonostante sia un tipo difficile con cui parlare -l'interlocutore deve prepararsi bene al confronto- Kiefer ha rilasciato parecchie interviste raccolte nel volume Paesaggi celesti (Il Saggiatore, 32) e comprese tra il 1990, anno in cui realizzò la prima grande mostra alla Neue Galerie nella Berlino liberata e il 2019, da un'idea di Germano Celant, scomparso nel 2020.
Ne esce un ritratto complesso, articolato, non senza ambiguità che è quello che ci piace di più perché l'arte come sistema unilaterale è quanto di più prevedibile ci sia. Non ha mezzi termini Kiefer, per esempio, nei confronti del minimalismo e del concettuale che «si sono trasformati ben presto in design perché in realtà non erano mai stati nuovi orientamenti artistici, bensì la semplice reazione a un disagio», ovvero la fine dell'espressionismo astratto.
Nato in una città della Foresta Nera nel 1945 Anselm Kiefer non ha ricordi diretti della guerra ma la guerra, con le sue macerie ne ha condizionato l'infanzia e infatti nelle sue opere compare spesso la polvere.
Quando cominciò a lavorare, alla fine degli anni '60, fecero molto discutere le fotografie dove faceva il saluto nazista di fronte alle rovine. «Ho sentito il bisogno di risvegliare i ricordi, non di cambiare la politica, ma di cambiare me stesso». Indispensabile l'uso dell'ironia perché «ciò che diciamo è sempre un po' ridicolo. Coloro che usano le parole senza ironia sono fanatici, non esseri umani completi. Bisogna sempre essere pronti a ridere, perché tutto è ridicolo. Diffido della fede e di ogni dogma».
In alcuni giganteschi quadri Kiefer ha rievocato l'architettura di Albert Speer e qualcuno ci ha provato a insinuarne una lettura maliziosa. Pur apprezzando il genio dell'architetto di Hitler -unica espressione passabile dell'estetica nazista rispetto a pittura e scultura- l'artista dice che «bisogna conservare le tracce fisiche così come sono, ma trasformandole nella nostra mente. C'è questo lato sinistro della storia».
«Ci sono molti artisti che finiscono nei guai lungo la strada verso il paradiso, e anche filosofi: Marx, Hegel, Mao (altrove definisce terrorismo il progetto della rivoluzione culturale), Wagner». In quanto a Joseph Beuys, suo maestro a Dusseldorf, ne parla con una certa distanza soprattutto sul significato della parola spirituale, che Kiefer rifugge perché troppo vicino a un'interpretazione new age. Polemico quando spiega, «il Beuys di cui lei parla rispecchia in realtà solo la sua ideologia verde... io ero sì allievo di Beuys, ma non ero mai presente in classe. Stavo sempre nel bosco e lavoravo».
Anselm Kiefer Palazzo Ducale Venezia
Critico con i movimenti studenteschi, consapevole delle controversie iniziali intorno alla sua opera soprattutto in Germania -e a un certo punto si trasferisce a Barjac nel sud della Francia- amante dell'Italia e in particolare di Napoli, «a renderla interessante sono la vicinanza al Vesuvio e la sua minaccia. Ogni momento potrebbe essere l'ultimo», dove ha sede Lia Rumma la galleria che lo rappresenta nel nostro paese, Kiefer ha realizzato una delle opere simbolo per l'ingresso nel nuovo millennio, i Sette Palazzi Celesti allestiti in permanenza all'Hangar Bicocca di Milano dove dietro ai più ovvi rimandi alla tragedia delle Torri Gemelle c'è anche un aspetto biografico «perché quando ero piccolo non avevo giocattoli. L'unica cosa che avevo era una grande rovina vicino a casa nostra, giocavo con i mattoni e costruivo case».
Basterebbero queste parole, ma il libro è gustoso, pieno di rimandi, autoritratto di una persona coltissima e consapevole delle proprie scelte, per leggere Anselm Kiefer come la più grande strepitosa eccezione nell'arte contemporanea. Antropocentrista ai limiti del superomismo, decadente, convinto del primato culturale dell'occidente pur nella sua decadenza, romantico. Difficile pretendere di più
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