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UNA CORSA PER NON DIMENTICARE LA SHOAH – A ROMA LA PRIMA EDIZIONE DI “RUN FOR MEM” NEL SEGNO DI SHAUL LADANY, IL MARCIATORE, OGGI 80ENNE, SOPRAVVISSUTO ALL’OLOCAUSTO E SCAMPATO AL MASSACRO DEGLI ATLETI ISRAELIANI AI GIOCHI OLIMPICI DI MONACO ’72 - “OGNI GIORNO SI ASSOTTIGLIANO LE VOCI DEI TESTIMONI DELLA SHOAH. E’ IMPORTANTE CHE LE NUOVE GENERAZIONI SAPPIANO”

Francesco Persili per Dagospia

RUN FOR MEMRUN FOR MEM

Il marciatore "rinato" due volte. Sopravvissuto al campo di sterminio di Bergen-Belsen e scampato al massacro degli atleti israeliani ai Giochi olimpici di Monaco nel ’72, Shaul Ladany, 80 anni, è stato il protagonista a Roma della prima edizione di “Run for Mem”, la corsa per la Memoria organizzata dall’Ucei (Unione delle comunità ebraiche italiane) che ha attraversato i luoghi simbolo legati alla tragedia della Shoah.

Da Largo 16 ottobre, cuore del quartiere ebraico di Roma, a via Urbana dove una targa ricorda don Pietro Pappagallo, il prete antifascista trucidato alle Fosse Ardeatine; da via Tasso, sede del Museo della Resistenza, al carcere di Regina Coeli che racconta la storia di 300 romani – ebrei, oppositori del regime, vittime di delatori – deportati al lager di Mauthausen: più di mille persone e almeno tre generazioni si sono ritrovate insieme lungo i due percorsi (da 10 e da 3 chilometri) per tenere vivo il ricordo attraverso lo sport.

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“Un modo nuovo, forse coraggioso, di celebrare il Giorno della Memoria”, ha detto la presidente dell’Ucei Noemi Di Segni: “Per correre verso il futuro dobbiamo portare con noi il passato”. Tra i partecipanti anche Franca Fiacconi, unica italiana a vincere la Maratona di New York, alle prese con un ginocchio ballerino dopo un incidente con gli sci. Il vicesindaco e assessore alla Cultura del Comune di Roma Luca Bergamo ha consegnato una medaglia commemorativa a Shaul Ladany, che continua a macinare chilometri, come ha fatto sempre nel corso della sua vita dedicata alla Memoria e alla marcia.

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Un passo alla volta. Per fare di un cammino un segno “di pace”. Il messaggio più potente di una corsa senza vincitori né vinti arriva da questo testimone degli abissi del Novecento che a 80 anni è ancora – come sottolinea Noemi Di Segni - “un esempio di vita e energia”. Un passo alla volta. Perché ricordare vuol dire ricominciare a vivere.

SHAUL LADANY, IL MARCIATORE CHE SFIDO’ LA STORIA

Simona Casalini per repubblica.roma.it

È un marciatore che ha cavalcato la Storia, che ha macinato chilometri tra i luoghi e gli incubi che hanno marchiato il '900: Shaul Ladany, 80 anni, ingegnere e matematico che è professore emerito alla Ben Gurion University del Negev, a un centinaio di chilometri a sud di Gerusalemme, più volte olimpionico, a otto anni è sopravvissuto al campo nazista di Bergen Belsen, e a 36 è scampato anche all'eccidio di Monaco '72.

SHAUL LADANYSHAUL LADANY

 

Non dimentica nulla della sua immensa vicenda umana. È a Roma per partecipare alla corsa della Memoria, organizzata per la prima volta dall'Ucei, l'Unione delle comunità ebraiche italiane. Insieme a Franca Fiacconi è l'ospite d'onore, il testimonial più caro di questo percorso romano a tappe che si corre oggi attraverso i luoghi cittadini legati alla tragedia della Shoah. Largo 16 ottobre '43, nel Ghetto, è la piazza- simbolo della tragedia italiana è da lì che Ladany sarà alla partenza in tuta e maglietta.

 

 

Perché ha accettato di partecipare?

"Era un bel progetto, mi piace fare sport e ogni giorno si assottigliano le voci dei testimoni della Shoah, di chi è stato nei campi e può ancora raccontare in prima persona la tragedia che ha vissuto. È importante che le nuove generazioni sappiano cosa accadde dai racconti di chi nei campi c'è stato. E poi non amo il freddo e sto molto bene nel clima romano tiepido".

SHAUL LADANY 4SHAUL LADANY 4

 

Dopo l'internamento a Bergen Belsen nel '44, negli anni dell'abisso della crudeltà umana, lei è sopravvissuto anche a Monaco '72, quando Settembre Nero attaccò la delegazione israeliana. Una delle domande più atroci che gli scampati si fanno è: perché io ce l'ho fatta e gli altri no? Lei si è dato una doppia risposta?

"Credo di avercela fatta per una serie di concause fortunate. Io e la mia famiglia nel '44 riuscimmo a scampare all'eccidio per uno scambio di prigionieri, ma in tutto ho perso 28 parenti molto stretti. Comunque sì, nel campo di concentramento sono rimasto sei mesi e un po' è stata fortuna che ne sia uscito. Anche su Monaco ho pensato di essere uno scampato per puro caso, poi però ho cambiato idea".{}

Shaul Ladany, prima della partenza della Marcia per l

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Shaul Ladany, 80 anni, sopravvissuto due volte alla morte perchè ebreo. Nel '44 scampò al campo nazista di Bergen Belsen, e nel '72 sopravvisse all'attacco di Settembre nero contro la squadra olimpionica di Israele. E' a Roma per partecipare alla Marcia della Memoria organizzata dall'Ucei con la partenza in largo 16 ottobre '43, la data della grande deportazione nel ghetto di Roma. Le foto d'epoca sono state tratte dal libro "Cinque cerchi e una stella" di Andrea Schiavon. Qui Ladany durante una gara a Monaco '72

 

Aveva solo otto anni quando fu rinchiuso nel campo di sterminio, ricorda ancora?

"Tutto, ad esempio dove era la nostra baracca, gli odori, la fame. Quando trent'anni dopo passai in auto vicino a Bergen Belsen, decisi di tornarci. C'era anche una mostra di testimonianze con un plastico del campo e feci correggere molte imprecisioni. Ricordo anche che vedevo al di là del filo spinato una piccola pianta di pomodori selvatici. Me li ricordo piccoli piccoli, poi crescere verdi, poi rossi, avevo una gran fame ma vicino c'era anche la torretta con le Ss. Da allora mi è rimasta una vera passione per i piatti di pomodori".

 

 

 

Ventotto anni dopo, Monaco. Morirono tutti gli 11 atleti israeliani sequestrati, alcuni torturati e lasciati morire sotto gli occhi dei compagni. Lei era lì vicino, ma in salvo. Come fu?

"La squadra degli olimpionici israeliani era divisa in tre diversi blocchi di alloggi. Io ero nella unit 2, mentre i ragazzi presi dai terroristi erano nelle unit 1 e 3. Per qualche anno pensai che fu un caso che i terroristi non fecero irruzione nella nostra, poi però mi sono reso conto che forse era successo qualcosa di diverso. Io dividevo la mia camera con altri atleti che gareggiavano nelle discipline di tiro con la pistola e i fucili, e tenevano le armi con loro. Penso che i terroristi lo sapessero e hanno scartato la nostra camera. Forse è andata così, o forse no. Ma ricordo quei miei compagni come se li avessi qui".

 

SHAUL LADANY 3SHAUL LADANY 3

La Germania le ha segnato la vita per sempre.

"Quando arrivai da olimpionico a Monaco fui accolto dal titolo di un giornale che più o meno così diceva. "'Ecco Ladany, un atleta che conosce bene il terreno su cui corre, è un sopravvissuto dei campi di sterminio"'. No, non mi arrabbiai, anche perché altri pubblicarono foto ritoccate in cui io correvo in gara e apparivo scheletrico anche se non lo ero. Un piccola vendetta fu che ai tanti tedeschi che mi chiedevano "come parli bene la nostra lingua, io rispondevo. Sì, l'ho imparato a Bergen Belsen".

 

Le è capitato di confrontarsi con negazionisti?

"No, li evito. Una volta però, durante una gara tra Parigi e Bruxelles, indossavo la maglietta con scritto Israele e mi si avvicinò un tipo che disse "voi ebrei dominate il mondo". Non gli ho risposto. Penso che coloro che sono antisemiti e negano l'Olocausto non vogliano ascoltare nessun argomento e si chiudono perché temono di mettere di mettere in dubbio le loro certezze. Se tu sei una persona che odia qualcuno - ebrei ma anche neri, zingari, gay - ti possono sottoporre ogni tipo di prova concreta che stai sbagliando ma io sono convinto che non ci sia possibilità che ci ripensino".

 

Lei resta anche un formidabile marciatore. Ogni compleanno corre i chilometri degli anni che compie. L'ultimo, 80 chilometri di fila. Perché?

"Lo faccio dal giorno in cui ho compiuto 50 anni, ma non per qualche motivo particolare. In Israele si dice così: "Non so perché amo mia madre, ma la amo". Ecco, marciare forse è il mio modo ambizioso di avere sempre successo. Gli sportivi seri non amano partecipare a una competizione, amano soprattutto portarla a termine. Per gli 80 anni ero in Israele e con me vollero affiancarsi centinaia di parenti, amici e vicini di casa. Venne anche un mio amico da Torino. Marciavo, marciavo e gli altri si stancavano. Alla fine me li ero lasciati tutti indietro".

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