SERIE A FORMATO BABELE: 301 STRANIERI TRA CUI MOLTE PIPPE E UN SOLO TOP PLAYER (CAVANI)

Roberto Condio per "la Stampa"

I primi arrivarono nell'estate del 1980. Frontiere riaperte per provare a dare una scossa al calcio italiano traumatizzato dallo scandalo del Totonero e sempre più povero di qualità. Sedici squadre ma solo undici stranieri: Brady, Falcao, Prohaska, Krol e Bertoni fecero subito la differenza; Luis Silvio e Fortunato aprirono la serie dei bidoni presi chissà perché. Era un altro mondo, un altro calcio, un'altra serie A.

Era il campionato degli italiani. Numeri alla mano, dalla scorsa stagione non lo è più: sono diventati maggioranza assoluta, gli stranieri. E domenica hanno sfondato l'ennesimo muro: superarono quota 100 nel 1997/8 dopo la sentenza-Bosman, furono più di 200 nel 2008/9, con i debutti del portiere Lobont (Roma) e del centrocampista Hauche (Chievo) hanno toccato quota 301 in questo 2012/3.

Una carica che non conosce tregua: sono sei anni che l'esercito s'ingrossa di almeno venti unità per stagione. Nel 2006/7 rappresentava il 29,4 del totale dei calciatori di A (157 su 534), oggi è arrivato addirittura al 54,3 (301 su 554).

Più facile comprare all'estero, più costoso allestire un vivaio, più rischioso investire su un giovane, più ammiccante dare in pasto ai tifosi un nome che finisca in «ic», «ez» o «inho». Così, la Babele non smette di crescere. Abbiamo già 49 nazioni rappresentate, quest'anno. C'è come sempre più Sudamerica (145 giocatori) che Europa (126), ci sono colonie di argentini (57), brasiliani (39) e uruguaiani (21).

C'è il Paese ospitante in minoranza. In Europa, nella scorsa stagione, era capitato solo in altre cinque leghe: Cipro, Inghilterra, Portogallo, Belgio e Turchia. Quest'anno si è aggiunta la Germania. Ma, tra i campionati al top, Spagna e Francia mantengono una discreta identità nazionale con valori di «indigeni» attorno al 60%.

A nulla è servito l'allarme lanciato nella scorsa estate dall'Assocalciatori presieduta da Damiano Tommasi. Vuoti sono stati i buoni propositi di molti club che a inizio stagione sembravano decisi a scegliere rose più giovani e più autarchiche. La prova del campo ha confermato il trend: 142 stranieri schierati già alla 1a giornata (su 280), 261 a fine andata (su 493), 301 adesso. Senza contare Amauri, Ledesma, Osvaldo, il baby genoano Said e Schelotto, nati all'estero ma naturalizzati e già impiegati in azzurro. E, com'è logico, contabilizzando una sola volta il giocatore impiegato da due club in un'annata.

Come dice la parola stessa, e com'è ormai d'abitudine, è l'Internazionale la meno italiana delle nostre venti squadre d'élite: 26 stranieri su 34 uomini finora impiegati. Stanno sopra i 20 anche Palermo e Fiorentina; hanno maggioranze forestiere pure gli organici di Catania, Chievo, Lazio, Milan, Napoli, Roma, Sampdoria e Udinese.

Il grave è che più stranieri non significa assolutamente maggior qualità. Anzi: il livello medio, per colpa della crisi economica, s'è abbassato assai. Scarseggiano i campioni veri, pullulano le mezze figure. Che, comunque, spesso tolgono spazio ai nostri prodotti. In particolare, ai giovani. Prendete, ad esempio, l'ultimo elenco di convocati dell'Under 21 di Devis Mangia, che a giugno parteciperà all'Europeo in Israele. Su 28, solo dieci giocano in A. E non più della metà (Capuano, Bertolacci, Florenzi, Gabbiadini e il Sansone del Parma) è titolare fisso o quasi.

«Il nostro calcio è condizionato dalla fretta e dai risultati», dice il tecnico azzurrino. E allora, per non «bruciare» i suoi talenti, finisce per privilegiare senatori e stranieri. Un peccato. Perché, finalmente, qualche segno di vitalità il nostro settore giovanile lo sta dando. Under 21 a parte, da domenica ci sarà l'Under 17 di Zoratto tra le otto big dell'Europeo slovacco e l'Under 19 è ancora in lizza per completare un tris di finaliste che sarebbe storico.

Poi, però, se si alza lo sguardo fino alla serie A si vede la carica dei 301 stranieri. Troppi. Almeno finché esisteranno le Nazionali e ci sarà un ct azzurro con sempre meno possibilità di scelta.

 

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