treccani negro

MENO MALE CHE C'E' LA TRECCANI - L'ENCICLOPEDIA RISPONDE A UNA GIORNALISTA DI REUTERS CHE SI ERA INDIGNATA PERCHE' NEL LEMMA "LAVORARE" E' STATO MANTENUTO L'ESEMPIO "LAVORARE COME UN NEGRO" - ALLA RICHIESTA DI CENSURA, L'ENCICLOPEDIA HA RISPOSTO: "NON SIAMO IN UNO STATO ETICO IN CUI UNA NEOLINGUA "RIPULITA" RISPECCHI IL "DOVER ESSERE" VIRTUOSO DI TUTTI I SUDDITI. IL DIZIONARIO HA IL COMPITO DI REGISTRARE E DARE INDICAZIONI UTILI PER CAPIRE CHIARAMENTE IN QUALI CONTESTI LA PAROLA O L'ESPRESSIONE VIENE USATA"

Claudia Casiraghi per "la Verità"

 

Una luce nel buio del politically correct. La Treccani, velatamente tacciata di razzismo da una giornalista di Reuters, ha restituito un esempio ormai raro di buon senso applicato alla realtà. L'enciclopedia è stata attaccata, con estrema arroganza, per aver mantenuto nel lemma di «lavorare» l'espressione «lavorare come un negro (o un dannato)». «Forse sarebbe il caso di togliere la prima espressione», ha scritto su Twitter la suddetta giornalista, prendendosi la briga di tradurre in inglese il proprio messaggio, così, ci è parso, da poter gonfiare la faccenda al punto da vederle valicare i confini nazionali.

ANNA IRRERA

 

«Wtf», ha rimarcato, «What the fuck?», «Ma che diavolo?», ha scritto, allegando alle proprie rimostranze una foto probatoria. Nell'immagine, diapositiva parziale del lemma, l'espressione gergale è stata sottolineata in giallo. Ma nessun applauso è seguito alla richiesta di censura. «In un dizionario della lingua italiana non soltanto è normale ma è doveroso che sia registrato il lessico della lingua italiana nelle sue varietà e nei suoi ambiti d'uso: dall'alto al basso, dal formale all'informale, dal letterario al parlato, dal sostenuto al familiare e anche al volgare», ha replicato, placidamente, la Treccani, sottolineando come «il dizionario registra quanto effettivamente viene adoperato da parlanti e scriventi.

 

Non siamo in uno Stato etico in cui una neolingua "ripulita" rispecchi il "dover essere" virtuoso di tutti i sudditi», si è letto poi, nel commento Twitter che l'enciclopedia ha compulsato online.

 

LA RISPOSTA DI TRECCANI SULL ESPRESSIONE LAVORARE COME UN NEGRO

«Il dizionario ha il compito di registrare e dare indicazioni utili per capire chiaramente in quali contesti la parola o l'espressione viene usata. Starà al parlante decidere se usare o non usare una certa parola; se esprimersi in modo civile o incivile», ha chiuso la Treccani, restituendo all'individuo una capacità di pensiero critico che il politicamente corretto sembra determinato e negargli.

 

Come la giornalista di Reuters, apparentemente certa che la sola e cieca repressione di una parola sia sufficiente a spogliarla di ogni violenza, così ha fatto Disney. Il Topolino, nella giornata di lunedì, ha deciso di eliminare dalla sezione per bambini della propria piattaforma streaming alcune sue vecchie produzioni. Dumbo è stato censurato, Peter Pan cancellato. Gli Aristogatti sono spariti dalla libreria dei più piccini.

 

TRECCANI

«Questo programma include rappresentazioni negative e/o denigra popoli e culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e lo sono ancora», ha spiegato il colosso, facendo apologia per aver giocato, in passato, sui tratti distintivi di singole etnie, per averli storpiati, parodiati. La Disney si è cosparsa il capo di cenere, ricorrendo alla censura. La stessa che, oggi, ha portato il comparto della comunicazione ad epurare dai propri scritti ogni pronome personale.

 

Nessun «lei» è più comparso in un comunicato stampa, nessun «lui», «loro», nessuna «-a» oppure «-o» a fine parola. I riferimenti al genere sono stati rimpiazzati da piccoli asterischi, così che il particolare potesse perdersi in un universale vago, dove niente è più distinguibile. Perché lo si sia fatto, e quale valore aggiunto la censura - di una parola, un genere o un film - possa avere portato non è stato detto. Quel che è rimasto, però, è il tentativo forsennato di dare forma ad una «notte in cui tutte le vacche sono nere». Un tentativo sciocco, figlio di un sillogismo a metà: perché senza l'antitesi - di un passato, di una lingua o di un film - non c'è tesi che possa trasformarsi in sintesi.

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