
''UN BALLO IN MASCHERA'' DI VERDI CON FINALE A SORPRESA: IN SCENA ALL'OPERA DI ROMA LA VERSIONE PRE-CENSURA - FRA DAMASCHI, DIVISE SCINTILLANTI, TRICORNI, MOBILIO E COSTUMI STILE IMPERO, LA FINISSIMA DIREZIONE DI LOPWZ-COBOS RILEVA UNA GRAZIA AFFETTUOSA, UN CLASSICISMO SUADENTE
UN BALLO IN MASCHERA VERDI TEATRO OPERA ROMA
Gian Mario Benzing per il Corriere della Sera
Riportare Un ballo in maschera di Verdi all' ambientazione storica «ideale», pre-censura (non a Boston nel Seicento, ma nella Svezia di re Gustavo III, nel 1792), in sé potrebbe anche restare un simpatico maquillage: Anckarström, Arvidson, Horn e Ribbing invece di Renato, Ulrica, Sam e Tom.
Nella nuova edizione, in scena all' Opera di Roma, con la regia di Leo Muscato, anche la musica sembra invece trasformarsi nel blu e oro di un Settecento reso quasi fiabesco dalle scene di Federica Parolini.
UN BALLO IN MASCHERA TEATRO OPERA ROMA 4
Fra damaschi, divise scintillanti, tricorni, mobilio e costumi stile impero, la finissima direzione di Jesús López-Cobos rileva, nel nero di questa partitura, una grazia affettuosa, un classicismo suadente.
Sempre pacato negli effetti (anche nelle dissonanze «infernali»...), attento all' equilibrio e alla rotondità dei timbri, il maestro spagnolo stringe i tempi con naturalezza solo dove il sorriso o il terrore lo chiedono.
Al blu e all' oro si intona anche la nobiltà di Francesco Meli, Gustavo, che fa di ogni frase un fraseggio, con filati, diminuendi, sfumature di alta eleganza; pari al volteggio felice di Serena Gamberoni, un Oscar mai acidulo, e all' eccellente coro, che il tocco di Roberto Gabbiani tiene compatto e lucente.
Buone le altre voci, solo con un Anckarström stentoreo e dalla gesticolazione molto retorica nel finale. Finale in cui la sorpresa lascia poi un po' spaesati: dopo tagli di luce così pittorici (opera di Alessandro Verazzi), dagli interni sontuosi al puro horror del «campo solitario», cosa c' entra lo strano balletto pop degli invitati in bianco e nero?