IL CINEMA DEI GIUSTI - CON L’ARRIVO DI GALAN IL FESTIVAL DI ROMA ENTRA NELLA LEGGENDA. ANCHE PERCHÉ IL MINISTRO, CHE TEMEVA DI ESSERE FISCHIATO DALLA FOLLA INFEROCITA DI ROMANISTI, CINEMATOGRAFARI E TERRONI VARI, È PASSATO ASSOLUTAMENTE INOSSERVATO. IN PRATICA NESSUNO LO HA RICONOSCIUTO, NEANCHE IL PORCHETTARO - DI GRAN CLASSE IL CINEMA GAIO NAPOLETANO DEL DEBUTTANTE REGISTA IVAN COTRONEO…

Marco Giusti per Dagospia

Settimo giorno del Festival di Roma. Con l'arrivo del ministro (vai a sapere per quanto...) Galan sul red carpet per il film di Pupi Avati e le sue dichiarazioni ("I film di Avati mi hanno cambiato la vita.",... ma non aveva visto solo "Soldato Jane"?), questa sesta edizione del Festival entra nella leggenda. Anche perché Galan, che temeva di essere fischiato dalla folla inferocita di romanisti, cinematografari e terroni vari, è passato assolutamente inosservato. In pratica nessuno lo ha riconosciuto, neanche il porchettaro, forse qualcuno lo ha scambiato per Roberto Giacobbo di "Voyager".

Tutti hanno invece riconosciuto Ignazio La Russa che è stato abbondantemente fischiato. Insomma mentre si presentavano sul red carpet un Pupi Avati redivivo (oggi farà un duetto con Aldo Cazzullo, yum yum...), Cesare Cremonini, la bella Micaela Ramazzotti già coattissima Zora la vampira in fase "poetica" ("Pupi Avati è il più grande, mi rivedo sempre i suoi film...") e una delegazione di politici di destra che dimostrava quanto questo governo si stia operando per affrontare la crisi internazionale, nella terribile sala per la stampa fortunatamente passava un buon film italiano.

Ovviamente un'opera prima, "La kryptonite nella borsa" di Ivan Cotroneo, tratto dal suo omonimo romanzo fortemente autobiografico. E' una produzione di lusso targata Indigo Film, cioè Nicola Giuliano e Francesca Cima, e Lucky Red, con Luca Bigazzi direttore della fotografia, Lino Fiorito scenografo, Giogiò Franchini montatore, bellissime canzoni d'epoca, da Iggy Pop e David Bowie a Peppino Di Capri ("Nun è peccato"), per descrivere la vita di un ragazzino occhialuto nella Napoli in fermento dei primi anni '70, con l'università piena di studenti greci, hippies, acidi e femminismo.

Il piccolo protagonista vive in uno squinternato minimondo napoletano. Si ritrova un padre, Luca Zingaretti, che se la fa con la commessa del suo negozio di macchine da cucire Singer, una madre, Valeria Golino, fantastica come sempre, che scopre il tradimento ma preferisce ammalarsi che affrontare il problema, due zii, Libero De Rienzo e Cristiana Capotondi, perfetti, che vivono la loro piccola rivoluzione hippy, un cugino strano che vive facendo Superman in chiave napoletana e, anche da morto, continua a presentarsi al ragazzo, e una serie di figure e figurine di grande presa comica, come il nonno Sergio Solli.

Ivan Cotroneo è un fortunato e coccolatissimo sceneggiatore di cinema di culto gaio ("I vesuviani" e "Chimera" di Pappi Corsicato, "Io sono l'amore" di Luca Guadagnino, "Mine vaganti" di Ferzan Ozpetek) e, soprattutto, di tv ("Tutti pazzi per amore"). Negli anni ha portato avanti una sua linea di commedia gay, ma è riduttivo definirla così, che ha avuto grandi riscontri di pubblico. Ovvio che la sua opera prima risenta di questa impostazione e che si muova abilmente tra un cinema alla Almodovar-Ozpetek-Corsicato e la sit-com televisiva.

Ma il risultato, a parte qualche sbavatura (un inizio con voce off un po' inutile, il finale outing gay ridondante), è di alta classe, gli attori sono tutti bravissimi, la Napoli del tempo è ricostruita perfettamente (studiavo lì e mi ci sono ritrovato). Con Cotroneo e con Mezzapesa, che ha un talento registico indubbiamente maggiore, il nostro cinema sembra tornare a respirare, a crescere. Fatelo vedere a Galan, ma non credo che il cinema gaio napoletano possa interessargli.

 

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