1- DAJE DE TACCO, DAJE DE PUNTA, L’EUROGOL DEL NANO MICCOLI, IL MARADONA DEL SALENTO 2- LA JUVENTUS HA SPIEGATO A ZEMAN PER QUALE MOTIVO POTRÀ SOLO PERDERE IL CAMPIONATO. CONTRO LE ARMATE DI TORINO, IL SOGNO NAPOLETANO CON EDISON CAVANI 3- NON VEDEVANO L’ORA: LA ROMA DI ZEMAN È INGUARDABILE. NON HA IDEE, CARATTERE, TALENTI IN GRADO DI SOSTENERNE LA PRESUNZIONE. MA DAL CRISTALLO DI BOEMIA ANDATO IN MILLE PEZZI, SOLO 4 MESI FA, SI BEVEVA BENISSIMO. E SOFFIANO I SOLITI VENTI CATTIVI

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UN ALTRO CAMPIONATO.
Ieri notte, con la semplicità di chi pensa a un'altra velocità, la Juventus ha spiegato per quale motivo potrà solo perdere il campionato. Complice la Roma svuotata di Torino, davanti alla controfigura di Antonio Conte, Massimo Carrera, la Juventus ha dipinto 50 minuti di calcio assoluto, sfiorando punteggi tennistici non immessi a registro per l'inatteso arbitrio di pali e traverse. Finisce 4 a 1. Tanto a poco, in ogni caso.

Ogni settimana, da una panchina che alterna Giovinco, Matri e Quagliarella, la squadra tira fuori le energie per dominare l'avversaria. Alla lunga, anche a prezzo della Champions League, la differenza di qualità dovrebbe inclinare un piano che rimane ancora in equilibrio perché il Napoli è l'unica formazione che ha tesserato l'atleta di dio Edison Cavani e l'unico avamposto in cui la fantasia faccia rima con nostalgia.

Così vincere a Genova con la Sampdoria (rigore discutibile su cui Ferrara, altro riverbero simbolico, da indigeno glissa) rimanda l'eco di anni in cui messa la cantava Maradona. Tra Ferlaino e De Laurentiis, il primo aveva più ironia. I murales a grandezza naturale di Diego sono sbiaditi, ma a Napoli sono pronti altri secchi di vernice. L'organico è inferiore a quello della Juve (e si è visto fin da Pechino), ma la vecchia Coppa Uefa compensa almeno gli impegni internazionali e dietro, c'è il vuoto.

CASSANEIDE.
Insieme alla volenterosa Lazio, 2-1 sul Siena con compitino eseguito, gol del debuttante Ederson e coda velenosa di Serse Cosmi: «Klose è stato molto furbo, detesto le santificazioni preventive», a 12 punti plana anche Antonio Cassano. Stramaccioni soffre Montella, ma fa dell'infortunio di Snejider il trampolino per affiancare a Milito qualcuno che inventi venti metri più avanti.

Il prescelto (con Nagatomo in sovrapposizione continua) è ovviamente Cassano. Certi assoli della sua gara, con le consuete pause, sono paradisiaci. Milito segna su rigore, ne sfiora un altro da ovazione, poi ne sbaglia almeno tre. Antonio da Bari ha invece mira precisa per il 2-0 e dopo lo spavento di Romulo, a chiudere il sipario pensa Rodriguez, espulso al 60' per un intervento insensato sulla linea di fondo. Il Milan, fermato a Parma, è a sei punti. Come l'Udinese in guerra con Di Natale (altro autolesionismo), uno in meno del Genoa. Polvere di stelle.

BEL CALCIO. A COSTO ZERO.
Nel gruppone di centro, trionfa l'incostanza. Si vince e poi, la settimana dopo, si perde. Equilibrio ovunque, pronostici impossibili, buone idee di mercato low cost. La migliore di tutte si chiama Gilardino. Un anno di nulla tra Firenze e Genova, poi la rinascita. Dopo il furto di Siena, il Bologna si aggrappa alla punta e travolge per 4-0 il Catania, sorpresa della stagione fino a tre giorni fa. Show del Torino a Bergamo.

Va sotto per un gol di Denis, poi si traveste da Real Madrid e torna in Piemonte con tre punti, un impressionante 5-1, i due gol di Bianchi e la magia di Stevànovic. L'allenatore si chiama Giampiero Ventura. Gioca con quattro punte, ascolta Guccini e De Andrè, allenava dando spettacolo a Bari, prima i calciatori decidessero di vendersi anche la madre. Aveva quasi portato i Matarrese in Europa. Ci riproverà con Cairo. Ventura lavorò anche con Cellino. Naturalmente, a tempo "determinato".

CAGLIARI HORROR SHOW.
Sul fondo c'è l'isola che non c'è. In confusione. Prima di ratificare le proprie dimissioni allo scopo di "difendersi meglio", Massimo Cellino licenzierà il suo 51° allenatore, Massimo Ficcadenti, battuto a domicilio dal Pescara (1-2) nella prima domenica di Is Arenas a porte semiaperte. Il Pescara mette in vetrina lo slovacco Weiss (secondo gol consecutivo) e dopo essere stato dato per retrocesso, anche sette punti da parte. Uno in meno della Roma di Zeman.

ZEMAN
Gli insulti dello Juventus Stadium. Quelli della stampa, appena una nota sotto. Dal Corriere della Sera a quello dello sport. Vecchio, bollito, fuori dal tempo, inadeguato. Non vedevano l'ora, anche se gli argomenti sono contraddittori. La Roma di Zeman è inguardabile.

Non ha idee, carattere, talenti in grado di sostenerne la presunzione. Ma dal cristallo di Boemia ora andato in mille pezzi, solo 4 mesi fa, si beveva benissimo. Re d'Abruzzo. Sul trono a 64 anni. Alle riunioni di corte, Insigne, Immobile e Verratti. Al centro dell'affresco, l'utopia. Poi l'offerta della Roma, a 13 anni da certi decisivi duelli con l'Inter persi per 5 a 4 in casa.

La suggestione della favola. La retorica del caso. E via di Figliol prodigo, maestro ritrovato e Ulisse di ritorno. Tutta l'aggettivazione enfatica che solo a Roma, quando rotola un pallone, sa colorarsi di metafora non sempre originale. Quindi, quando ancora si sudava nelle valli tirolesi, si è iniziato a parlare di scudetto.

Zeman non ha smentito. Ha giocato con i sogni, esattamente nello stesso modo con cui aveva affrontato nella Mancia del calcio italiano, mulini a vento e rinomate associazioni a delinquere. Per la sua storia, un ragionamento più lineare: «Vinceremo, forse, ma non prima di cinque anni» sarebbe parso deludente.

Gli abbonamenti aumentati del 50%, la sensazione di essere usciti, con le smorfie di Zeman al posto delle verbose malinconie di Luis Enrique, da un equivoco non solo sintattico. Invece l'equivoco è la Roma. L'equivoco è l'aspettativa. Mancano un portiere, uno (più probabilmente due) terzini, un De Rossi decente, una punta che giustifichi la manfrina estiva su Destro. Per ora il piede sinistro della sfinge seduta in panchina non si è visto. In città soffiano i soliti venti cattivi.

Le crepe nello spogliatoio, la fronda, il copione della frustrazione, lo script di ogni progetto sulla via del tramonto. Zeman potrà anche perdere tutte le partite, ma se il fiorentino di passaporto cileno Pizarro, 33 anni, ex romanista cacciato con ignominia, corre per tre nella notte di San Siro e non tutti i Marquinhos acquistati somigliano a Messi, gli errori non sono solo di schema.

«Zeman funziona solo in provincia» ti dicono. Dimenticando di dire che in quanto a provincialismo certi spogliatoi dentro il Grande Raccordo non hanno rivali e che per certe rivoluzioni, manca il contesto. Precipitati dalle riunioni a casa Sensi ai viaggi transoceanici dello Zio d'America, persuasi che un greco con un campionato di B sulle spalle fosse Benetti, Totti e i suoi fratelli si sono persi. E con loro, la guida deputata. Agli Zdenek Zeman non manca solo il fumo da stadio. Manca qualcuno con cui parlare la stessa lingua anche nel silenzio. L'ultimo a vincere fu Fabio Capello. Con lui bastava uno sguardo. Il bastone ha ancora i segni addosso. Anche quella è filosofia.

FABRIZIO MICCOLI DA NARDÃ’.
L'ultima immagine della domenica è per Fabrizio Miccoli. Il più circense tra i campioni domenicali, il più salentino tra tutti i figli del tacco sparsi da Nord a Sud. A Lecce tornerà, forse prima del previsto, perché per Maurizio Zamparini (che a questo talento costantemente in doppia cifra, ogni anno procrastina la firma del contratto), il problema del Palermo era lui. Gasperini dopo aver pensato di confinarlo dove chiedeva il padrone lo ha messo in campo contro il Chievo. Tre gol, l'ultimo, lunare, da 50 metri. Certi gesti Miccoli li ha nel piede e nella testa. «È stato istinto» ha detto. Era solo metà della verità.

 

 

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