“MATCH”, IL PROGRAMMA CHE VENIVA DAL FUTURO - SU RAITRE LA REPLICA DELLA TRASMISSIONE CULTO DI ARBASINO, ANNI 1977/78, È UN’IMPAGABILE LEZIONE SOCIOLOGICA. ANTROPOLOGICA. E TELEVISIVA. CON NANNI MARETTI GIÀ DOTATISSIMO DI QUELLA SACCENZA CHE LO AVREBBE PORTATO LONTANO, TRAVOLTO DALLA ADORABILE FEROCIA DI MARIO MONICELLI - FORSE, OGGI, “MATCH” NON FAREBBE ASCOLTI. FORSE MANCHEREBBERO I PROTAGONISTI PRIMI: I NUOVI BOCCA, I NUOVI MONICELLI. O FORSE BASTEREBBE PROVARCI…

Andrea Scanzi per Il Fatto

Una replica di più di trent'anni prima. Che suona così attuale. Quando Rai Tre, per ricordare Giorgio Bocca, ha rimandato in onda - a Santo Stefano - la puntata di Match tra il giornalista scomparso e Indro Montanelli, non pochi italiani si sono chiesti dove mai fosse finito quel servizio pubblico. Quel modo di fare tivù. Quella semplicità: quella ricchezza.

"Match" era un programma di Arnaldo Bagnasco, Adriana Borgonovo e Marina Gefter Cervi. Anni 1977/78, moderatore Alberto Arbasino. Uno che col piccolo schermo non c'entrava nulla: perfetto, quindi, per frequentarlo. Struttura semplicissima: due big, di posizioni opposte, che si fronteggiavano. Qua e là intervenivano giornalisti e semplici cittadini. È tutto invecchiato così bene. Anzi non è invecchiato (quasi) per niente.

Impagabile lezione sociologica. Antropologica. E televisiva. I look improbabili, la gente che fuma in studio (compreso Montanelli, con meravigliosa civetteria). E le femministe in servizio permanente, che rinfacciano a ogni interlocutore di non dare abbastanza spazio alla donna.

In ogni puntata c'era il quasi-rivoluzionario, il pollo di allevamento che si ergeva a paladino dei g(gg)iovani e, con lessico tremendamente supponente, rampognava i "vecchi". Come Enzo Modugno, professione movimentista, così puerile nell'attaccare Bocca. O come l'allora 24enne Nanni Moretti, protagonista - il 14 dicembre 1977 - del Match con Mario Monicelli. Non aveva ancora urlato "ve lo meritate Alberto Sordi" e in quei minuti fa di tutto per dirlo. Senza riuscirci.

La saccenza c'era già, e lo avrebbe portato lontano. Quel giorno, però, fu travolto dalla adorabile ferocia di Monicelli. "Hai avuto la fortuna di girare un film (Io sono un autarchico, nda) che nessuno ha visto, ma di cui si parla da un anno. Si è creato il fenomeno di te leader della nouvelle vague italiana, ma non è così. Il tuo film è grazioso, ma è molto meno di quello che tu credi. Io sono cattivo, mica tu".

E Moretti che si agita sulla sedia, cita la solita pellicola pallosissima per darsi un tono (‘'La Marchesa Von O''), ammette insospettabili americanismi ("A me me piace De Niro"), inciampa in epocali excusatio non petita ("Un giovane quando comincia a fare cinema deve essere presuntuoso per forza").

Insegue disperatamente la cattiveria eternabile, senza però andare oltre l'affondo sciatto: "''Un borghese piccolo piccolo'' è ambiguo e secondo molti reazionario. Anche secondo me...". Abbaia, Nanni, ma non morde. Nessun dubbio sul vincitore. Quello con meno capelli (la permanente morettiana è da antologia) e più anni (52). Soprattutto: quello con più argomenti. Eloquio. Contenuti.

Ed è proprio questo ciò che colpisce di ‘'Match'': i contenuti. Così nitidi, rari. Quasi eretici. Scenografia povera, struttura minimale. Un che di retrò già all'epoca. Nessun gioco di prestigio. Toni educati. Guai ad accavallarsi. La polemica - vagamente inseguita da Arbasino - come grande assente: "Io non sono venuto qui per far finta di litigare con Montanelli. La televisione è bella e interessante, ma io non sono qua per far divertire la gente" (così parlò Giorgio Bocca).

Carlo Freccero anela da tempo a una tivù senza urla: dotata di ispirata sobrietà, che non sia quella equivoca e catacombale dell'Era Montiana, ma che privilegi contenuti e idee (anche e soprattutto urticanti). Una tivù pedagogica-mente moderna. Che abbia ritmo, ma non abbondi di risse da pollaio con la scusa dell'Auditel.

E se quei civilissimi "scontri" fossero l'uovo di Colombo? Se la novità salvifica, ancora, risiedesse nel passato? Chissà. Forse, oggi, Match non farebbe ascolti. Forse ci siamo definitivamente incarogniti. Forse mancherebbero i protagonisti primi: i nuovi Bocca, i nuovi Monicelli. O forse basterebbe provarci. Potere alla parola. E al pensiero.

 

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