“L’ESPERIMENTO NON HA FUNZIONATO” - DOPO LA BATOSTA IN UMBRIA, DI MAIO EVOCA UNA “TERZA VIA” PER GUARDARE “OLTRE I DUE POLI CONTRAPPOSTI” - GRILLO PRONTO A INTERVENIRE CON UN POST SE LUIGINO SI SFILASSE DAL PATTO CON I DEM - NEL M5S È CAOS: DIVERSI PARLAMENTARI SONO PRONTI A LASCIARE. ALTRI TORNERANNO A CONTARSI PER VEDERE SE LA SCISSIONE È POSSIBILE E SE I NUMERI SARANNO SUFFICIENTI PER UN GRUPPO AUTONOMO - RENZI VERSIONE ARUSPICE: “L'AVEVO PREVISTO. MA CON QUESTA SCONFITTA LA LEGISLATURA È BLINDATA FINO AL 2023”
Ilario Lombardo per “la Stampa”
La foto di Narni è la foto di una sconfitta prevista. Da chiunque. Nessuno nel governo o nella maggioranza era disposto a scommettere un centesimo sulla miracolosa rimonta in Umbria. La firma del patto di coalizione era scritta con l'inchiostro simpatico e i sorrisi di complicità sono durati giusto il tempo dei flash per cogliere uno scatto forse irripetibile.
Insomma, ieri, all'alba dei primi exit poll, mentre il disastro incombeva era già tutto un prendere le distanze e sfilarsi, un dire «avete visto?» oppure «ve l'avevo detto».
BEPPE GRILLO GIUSEPPE CONTE LUIGI DI MAIO
Ma non c'è più solo Matteo Renzi ad agitare le giornate di Giuseppe Conte. Da Palazzo Chigi il premier guarda con molta attenzione e preoccupazione alla reazione di Luigi Di Maio dopo il crollo del M5S. Se è vero che sull'onda di questa clamorosa sconfitta liquiderà ogni alleanza più strutturata con i dem, e non permetterà che in altre regioni il M5S partecipi a patti civici sul modello umbro. Per adesso la versione ufficiale del leader è che in Umbria si è messo in piedi «un esperimento» che «non ha funzionato».
Non per forza replicabile altrove. Ma Di Maio non ha ancora la forza di decidere se sarà così. «Si vedrà di volta in volta, a seconda delle condizioni» dice con i suoi. Mentre sul post di commento si limita a indicare quella «terza via» che si può seguire «solo guardando oltre i due poli contrapposti». Un po' come era un tempo, prima del governo, prima con la Lega poi con i dem. Il futuro a breve sono l' Emilia Romagna, dove il candidato è il presidente uscente del Pd Stefano Bonaccini, e la Calabria, dove il M5S ha buone chance di esprimere il nome che guiderebbe la coalizione.
roberto speranza nicola zingaretti vincenzo bianconi luigi di maio giuseppe conte
Ma dalle scelte di Di Maio non dipenderanno soltanto i destini regionali dei partiti.
Ciò che preoccupa Conte è che la ragione stessa di esistere dell' alleanza giallorossa potrebbe essere travolta. A chi gli sussurra che forse poteva anche risparmiarsi la passerella in Umbria, evitare di lasciare stampato il proprio volto sulla copertina di una disfatta annunciata, Conte ripete quello che ha già detto prima di mettersi in macchina per l' ultima curva di campagna elettorale: «Io credo in questo progetto, dobbiamo crederci».
Anche perché ne va del suo di governo. Di Maio e Nicola Zingaretti gli avevano chiesto di andare in Umbria e lui non si è sottratto. «Ma da presidente del Consiglio». Il premier non ha voluto dare troppo peso all' evidente freddezza percepita dal capo politico del M5S. Anche perché è consapevole che Di Maio stava approntando una difesa per evitare che la sconfitta pesasse solo ed esclusivamente su di lui.
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Una difesa che lo protegga anche dal fuoco interno che si scatenerà a partire da oggi in Parlamento dove il Movimento è spappolato in fronde che ormai non seguono più il leader e non vedono l'ora di affossarlo.
Anche di questo dovrà tener conto il ministro degli Esteri. Perché è vero che c'è chi alzerà la voce contro l'alleanza giallorossa, convinto come Gianluigi Paragone che sia stata prodotta dall' inerzia e dalla paura di Salvini. Ma è vero pure che la gran parte di deputati e senatori pensano invece che il patto vada blindato, il governo puntellato e Conte salvaguardato. Anche Beppe Grillo ne è convinto e, a quanto sostiene chi nel M5S continua a sentirlo, è pronto con un post a rimettere sulle carreggiate demogrilline le eventuali sbandate di Di Maio.
Una discussione - è scontato - si aprirà e sarà lacerante. Di Maio dovrà dare risposte sulla riorganizzazione del M5S, attesa da mesi. Diversi parlamentari sono pronti a lasciare. Pochi, ma ci sono, passeranno con Renzi. Qualcuno seguirà Salvini. Altri torneranno a contarsi per vedere se la scissione già rimandata è possibile e se i numeri saranno sufficienti per un gruppo autonomo.
L' implosione e la tenuta del M5S preoccupa e di molto anche il Pd. I dubbi ci sono, certo.
E ieri li ha affrontati il segretario Zingaretti durante l' assemblea dei sindaci: «Decideremo insieme, ma se il 45-50% della rappresentanza politica si è unito dietro un leader di destra, non possiamo non porci il problema dell' altro 45-48%, che governa insieme e vuole farlo per i prossimi tre anni».
Anche Zingaretti, però, sa che le insidie proverranno da Renzi e dall'entità dello smottamento di parlamentari verso Italia Viva. Secondo l' ex rottamatore il risultato dell'Umbria, paradossalmente «blinda questa legislatura fino al 2023», ma non il governo, confermando la sua tesi che evitare le urne è l'unico modo per neutralizzare Salvini.
Ma le urne prima o poi arrivano. E arriveranno sui territori. Renzi vuole battezzare il partito nella sua Toscana, per lo stesso motivo per il quale non ha corso in Umbria. Perché vuole esordire con un successo sicuro e, se possibile, senza i grillini. L' ex premier continua a credere che sui territori «non abbiano un voto» e per il Pd e tutto il centrosinistra rappresenterebbero solo una zavorra.