enrico letta e matteo salvini

"LA LEGA DOVREBBE ENTRARE NEL PPE", "NON CI SERVONO PATENTI DI DEMOCRAZIA" - LETTA E SALVINI SI SCAMBIANO GOMITATE AL DIBATTITO DELL'ISPI SULL'EUROPA - E POI SCINTILLE SU UNGHERIA, POLONIA, MIGRANTI E L'UE CHE, PER IL LEGHISTA, NON DOVREBBE OCCUPARSI "DI CHI GESTISCE LE SPIAGGE, SULLA VITA QUOTIDIANA. SERVE IL DECENTRAMENTO" - SOTTI-LETTA E IL DIALOGO PRIVILEGIATO CON FORZA ITALIA, IN CUI C'E' ANCHE SUO ZIO GIANNI…

Alessandro Di Matteo per "la Stampa"

 

ENRICO LETTA E MATTEO SALVINI

Fanno fatica a trattenersi Enrico Letta e Matteo Salvini nel primo faccia a faccia da alleati-avversari, il dibattito dell'Ispi sull' Europa diventa occasione per un confronto che parte all'insegna del fair-play e finisce, però, inesorabilmente in uno scambio di stoccate reciproche. Un copione inevitabile, del resto, perché entrambi ci tengono a ricordare agli elettori che la convivenza forzata nella maggioranza a sostegno di Mario Draghi è un evento assolutamente eccezionale e non ripetibile.

 

Letta inizia dicendosi contento che anche la Lega abbia deciso di sostenere il governo Draghi, ma poi punzecchia: «Non entro nel merito della conversione a U della Lega sull'europeismo», butta lì. E poi: «Sarei contento se il partito di Salvini si avvicinasse al Ppe». Non risparmia nemmeno qualche passaggio sui governi di Ungheria e Polonia (governi con i quali la Lega ha buoni rapporti) che hanno usato il diritto di veto per cercare di danneggiare l'Italia.

MATTEO SALVINI VIKTOR ORBAN

 

Salvini, dal canto suo, non porge l'altra guancia. Prima invita a mettere da parte le «etichette» come «europeista» e «sovranista», poi replica: «Letta dice che se la Lega entra nel Ppe è una buona cosa. Se si devono dare patenti di democrazia non si fa un buon servizio». Governi come quello ungherese e polacco, ricorda, sono stati «votati dal popolo» e bisogna ricordare che «l' Europa si fonda sulla libertà non sulle scelte etiche e morali, perché questo sarebbe problematico».

 

ENRICO LETTA E MATTEO SALVINI

E l' Europa, per il leader della Lega, deve occuparsi di «grandi temi come politica estera, difesa, salute e sanità», ma non di chi «gestisce le spiagge, sula vita quotidiana - come appunto la direttiva Bolkenstein - serve il decentramento». E su questioni come i migranti «l' Europa è in ritardo». Visioni che restano molto lontane, insomma, ed è anche normale che sia così.

 

Non a caso, sempre ieri, Letta ha scelto di iniziare da Fi - il partito più europeista del centrodestra - il suo giro di colloqui con le forze dello schieramento avversario. Il segretario Pd ha visto Antonio Tajani, per parlare soprattutto di riforme e di sostegno al governo Draghi, un colloquio «utile e costruttivo».

 

salvini orban

Delle beghe di casa Pd, appunto, il segretario parla poco in pubblico. Spende solo qualche parola sulla sfida tutta al femminile per il posto di capogruppo alla Camera. «Io ho detto che per me la cosa essenziale era che fosse una donna».

 

Nella scontro tra Marianna Madia e Debora Serracchiani non vuole entrare, se non per far capire di non avere apprezzato i toni usati dall' ex ministra contro il capogruppo uscente e contro la rivale: «Se posso permettermi di usare questo termine, credo che (la scelta del nuovo capogruppo, ndr) vada fatta in grande serenità». Ma di serenità ce n'è poca.

Anche ieri sono stati fatti diversi tentativi per convincere la Madia a fare un passo indietro. Il toto-voto dà la Serracchiani in netto vantaggio, grazie anche all'appoggio delle aree del partito più pesanti a Montecitorio.

ENRICO LETTA E MATTEO SALVINI

 

Anche i Giovani turchi di Matteo Orfini, ieri, hanno provato a lavorare per una soluzione unitaria, ma la Madia non sembra intenzionata a rinunciare alla conta. Michele Bordo, area Orlando, non esprime una preferenza e chiede che le due candidate «presentino all'assemblea del Gruppo idee e programmi di lavoro». Di fatto, però, la corrente di Orlando potrebbe votare per la Madia, dopo le voci di un accordo Serracchiani-Base riformista per mettere Piero De Luca come vice-presidente vicario. A meno che le diplomazie, ancora al lavoro, non trovino il modo di convincere la Madia ad evitare il voto.

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