IN CULO ALLA BALENA - LA CORTE INTERNAZIONALE DELL’AJA ORDINA AL GIAPPONE DI FERMARE LA CACCIA ALLE BALENE: ‘‘PRATICA ILLEGALE, NON HA FINI SCIENTIFICI’ – TOKYO ACCETTA LA DECISIONE CON ‘RAMMARICO E DELUSIONE’ – ESULTANO GLI ANIMALISTI DI TUTTO IL MONDO

Luigi Offeddu per il "Corriere della Sera"

Balene di tutto il mondo, o meglio del mar Antartico, anche per voi c'è un giudice a Berlino. Anzi all'Aia: la Corte internazionale di giustizia dell'Aia ha infatti ordinato la sospensione della caccia alla balena praticata nei mari del Giappone. È «illegale» e «non ha fini scientifici», hanno sentenziato i giudici, smentendo così le giustificazioni accampate per decenni dall'Impero del Sol Levante.

Che però ha reagito abbastanza bene: «Con rammarico e delusione» ha riconosciuto «grande importanza all'ordinamento giuridico internazionale e allo Stato di diritto come fondamento della comunità internazionale». Mentre gli animalisti di tutto il mondo (in Italia quelli dell'Enpa, l'Ente nazionale per la protezione degli animali) esultavano e brindavano.
È stabilito, dunque, che i cetacei dell'Antartico finivano nelle zuppe, nelle fritture e nei bistecconi dei ristoranti specializzati, in Giappone e altrove. La loro morte non serviva ad accrescere il sapere umano.

Il «caso balene» era stato sollevato prima dall'Australia, nel 2010, e poi dalla Nuova Zelanda. In realtà il divieto di caccia era in vigore dal 1986, ma Tokyo era sempre riuscita ad aggirarlo (14 mila balene uccise) con la scusa della ricerca scientifica: per studiare le balene sempre più rare, in altre parole, era necessario ucciderle. Entrambi i Paesi dell'Oceania avevano citato in giudizio il Giappone definendo la caccia ai cetacei «una mera attività commerciale, in violazione delle convenzioni internazionali e dell'obbligo a preservare i mammiferi marini e l'ambiente marino».

Ora, i giudici dell'Aia sembrano dire una parola davvero definitiva, e chiudere così la lunga diatriba. «Il Giappone deve revocare i permessi, le autorizzazioni o le licenze già rilasciate nell'ambito del Jarpa II (il programma sulla ricerca ndr ) e non concedere eventuali nuove licenze», ha affermato solennemente il giudice Peter Tomka, durante l'udienza di ieri.

Il Giappone ha naturalmente «tenuto» la posizione, almeno nella forma, ma nei fatti ha accettato la decisione europea: «Siamo delusi e rammaricati che la Corte non abbia riconosciuto il carattere scientifico dello Jarpa II, il nostro programma di ricerca», ha detto Koji Tsuruoka, «avvocato» imperiale davanti alla Corte. Finisce così con una vittoria la lunga lotta degli ecologisti di Sea Sheperd («Pastore dei mari»), spesso impegnati nel mar Antartico negli inseguimenti dei pescherecci dell'imperatore. Esultante anche il commento della Lav, la Lega antivivisezione: «La leggenda della caccia "scientifica" si frantuma con una sentenza storica».

 

 

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