Estratto dell'articolo di Jacopo Iacoboni per www.lastampa.it
«Siamo pronti a lasciare questo Paese (la Francia, nda.)», dice Durov – scrivendo naturalmente sul suo canale Telegram, in tutta libertà e senza nessuna censura al suo free speech – e annuncia la disponibilità di Telegram a lasciare la Francia. Musica per le orecchie al Cremlino.
Durov definisce «una sorpresa» le affermazioni di Parigi, poiché le autorità francesi hanno avuto accesso a una «linea diretta» che lui stesso ha aiutato a creare («qualche tempo fa, quando me lo hanno chiesto, li ho aiutati personalmente a creare una hotline con Telegram per combattere la minaccia del terrorismo in Francia») e avrebbero potuto contattare il rappresentante di Telegram nell’Ue in qualsiasi momento. Nega che la app sia un «paradiso anarchico», «abbiamo eliminato milioni di post e canali dannosi ogni giorno». E afferma che Telegram rispetta le leggi, che l’azienda ha un rappresentante nell’Unione europea che risponde alle richieste.
«Se un Paese non è soddisfatto di un servizio Internet, la prassi consolidata è quella di avviare un'azione legale contro il servizio stesso. Utilizzare leggi dell'era pre-smartphone per accusare un amministratore delegato di crimini commessi da terzi sulla piattaforma che gestisce è un approccio sbagliato».
IL DITO MEDIO DI PAVEL DUROV A VLADIMIR PUTIN NEL 2011
Va ricordato che il giovane russo, cresciuto a Torino da una famiglia intellettuale ben inserita nel mondo ufficiale della cultura dei tempi della fine dell’Unione sovietica, è stato arrestato il 25 luglio in Francia nell’ambito di un'indagine su reati legati a pedopornografia, traffico di droga transazioni fraudolente associate all’app. Ma soprattutto, molto probabilmente, per sospetti degli investigatori per il suo rifiuto di collaborare con i francesi con le chiavi crittografiche di Telegram.
[…] La parte più interessante è senza dubbio la minaccia, non velata, di lasciare la Francia (che de facto suonerà estremamente gradita a Mosca), ma anche l’elusività con cui Durov racconta i suoi rapporti col Cremlino. «A volte – avvisa – non riusciamo a concordare con l'autorità di regolamentazione di un paese sull'equilibrio tra privacy e sicurezza. In questi casi, siamo pronti a lasciare questo Paese. L'abbiamo fatto molte volte». Ma è molto omissivo il racconto del suo rapporto con la Russia: «Quando la Russia ci ha chiesto di consegnare le “chiavi di crittografia” per consentire la sorveglianza, abbiamo rifiutato e Telegram è stato bandito in Russia».
Ciò è vero, avvenne nel 2018, e fu assai sbandierato da Durov, da tanti suoi laudatori, e da tanta propaganda (compreso, singolarmente, dai canali russi di stato). Ma è solo parzialmente vero: nel 2020 Durov è tornato in Russia, il bando putiniano di telegram non solo è caduto, ma Mosca ha aiutato Telegram a finanziarsi, e il 23 marzo 2021, addirittura, il Fondo di investimenti della Russia, strettamente controllato da Putin, annunciò nientemeno di aver investito in Telegram (bye bye al sistema di chat un tempo indipendente di Durov).
«Quando l’Iran ci ha chiesto di bloccare i canali dei manifestanti pacifici, abbiamo rifiutato e Telegram è stato bandito in Iran. Siamo pronti – tuona Durov – a lasciare i mercati che sono incompatibili con i nostri principi, perché non lo facciamo per motivi di denaro». Durov aveva detto più volte, anche di recente, che lui neanche andava più in Russia. Ma ha mentito, ripetutamente: nelle scorse settimane IStories ha scoperto che Durov è stato in Russia 50 volte dal 2015 al 2021. […]
Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, nei giorni scorsi ha detto: «Che io sappia, Putin e Durov non si sono mai incontrati». Ma ieri Putin stesso, parlando in pubblico al forum in estremo oriente, ha detto: «Ho incontrato Durov a Mosca molti anni fa, mi ha parlato dei suoi progetti, non ci siamo più visti da allora, non ci siamo più incontrati a Baku». Prima ammissione, chissà cos’altro poi verrà.
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