“ARRIBA ARRIBA EL DIABLO... CHIAPPUCCI FA 60! "E PENSARE CHE AVREI VOLUTO FARE IL CALCIATORE. GIOCAVO MOLTO BENE IN ATTACCO: MA SI PUÒ ATTACCARE ALLA GRANDE ANCHE PEDALANDO" - "DOPO NIBALI, SIAMO IN UN MOMENTO DI CRISI NELLE CORSE A TAPPE. IL MOTIVO? SERVE ACCELERARE IL PASSAGGIO AL PROFESSIONISMO, INUTILE CORRERE FINO A 23 ANNI NEI DILETTANTI – LA RIVALITA’ CON BUGNO E PANTANI: “ANDAVA PROTETTO E INVECE DOPO IL 1999 C’ERA LA CORSA A SPARARGLI ADDOSSO” - VIDEO
Estratto dell'articolo di Francesco Ceniti per la Gazzetta dello Sport
“Arriba arriba el Diablo...”. Alla fine del 1990 nelle radio italiane irrompe come un tuono il brano dei Litfiba: diventa subito un successo. Più o meno nello stesso periodo sulle strade del Belpaese impazza un altro Diavolo: Claudio Chiappucci è il lampo che il 23 marzo 1991 illumina la Milano-Sanremo. Oggi il ciclista osannato dai tifosi con “quella faccia un po’ così” e un soprannome infernale, conquistato grazie alle mille scorribande in salita, taglia il traguardo dei 60 anni. Lo fa prima del suo storico rivale Gianni Bugno (ci arriverà il 14 febbraio 2024) e con una “tappa” speciale: New York.
«Mi piaceva accendere le gare.
Più di qualcosa... Il suo podio dei trionfi più belli?
«Al primo posto la Sanremo: classica Monumento mica pizza e fichi... Vinta dopo una fuga di 140 chilometri, eliminando gli avversari uno a uno. Poi mi sono goduto il boato della folla. Bellissimo... Ma ora che ci penso...».
Prego...
«C’è pure il successo della tappa al Tour 1992, quella con arrivo al Sestriere... Va a pari merito con la Sanremo: avevo la maglia a pois (leader della classifica scalatori, ndr) e mi sono sciroppato 200 chilometri da solo. Nella salita finale dalla fatica non sentivo più le gambe, ma i tifosi urlavano il mio nome e allora mi alzavo sui pedali e continuavo a scattare...».
Al terzo posto?
«La vittoria a Corvara al Giro 1993: altra giornata di fatica, cuore e una battaglia infinita».
Rovescio della medaglia: podio dei rimpianti...
«Ahia, preferivo l’altro... Comunque, il Mondiale 1994 in Italia è il buco nero: ero il più forte, dovevo vincere io. Sarebbe servito un gioco di squadra diverso quando partì Leblanc. Se Massimo Ghirotto (4° all’arrivo, ndr) avesse corso meglio... Quell’argento resta la sconfitta più bruciante, quante lacrime versate».
E il Tour 1990?
«Ero maglia gialla fino alla penultima tappa, ma potevo poco contro Greg LeMond a crono. In quegli anni gli scalatori erano sfavoriti dai percorsi pensati per i vari LeMond e Indurain».
E il Giro? Tanti podi e neppure una maglia rosa...
«Ho trovato sempre avversari in stato di grazia. Come nel 1991 quando Franco Chioccioli dettava legge su ogni terreno».
L’anno prima aveva dominato Gianni Bugno: la vostra è stata una rivalità tipo Moser e Saronni.
«Ci siamo divertiti e abbiamo fatto divertire. Gianni era un fuoriclasse. Ci sentiamo spesso, nel tempo siamo diventati amici. Lui ha vinto molto più di me, ma forse io avevo più tifosi. E comunque pure lui è stato penalizzato dalle crono lunghe, altrimenti un Tour lo avrebbe portato a casa».
L’Italia dopo il ritiro di Nibali non ha più uomini da grandi Giri.
«Siamo in un momento di crisi. Il motivo? Serve accelerare il passaggio al professionismo, inutile correre fino a 23 anni nei dilettanti. Uno schema simile andava bene ai miei tempi».
Pogacar, Evenepoel, Van Aert, Van der Poel, Vingegaard: c’è l’imbarazzo della scelta. Lei chi preferisce?
«Direi Pogacar ed Evenepoel: campioni universali».
Nella “sua” Carrera ha tenuto a battesimo un certo Marco Pantani...
«Già nel 1993, dopo le prime pedalate in allenamento, avevamo capito le potenzialità: era nato per vincere, quando stava bene nessuno in salita reggeva il suo ritmo. Nel 1994 è esploso al Giro: ero il capitano, ma gli ho lasciato spazio. Andava protetto e invece dopo il 1999 c’era la corsa a sparargli addosso...».
Ma Chiappucci da ragazzo voleva fare il ciclista?
«No, il calciatore. Giocavo molto bene in attacco, poi l’allenatore mi spostò in difesa. A 14 anni passai al ciclismo. Si può attaccare alla grande anche pedalando...».