"LA MOSSA DI BIDEN NON BASTA" - SULLA LIBERALIZZAZIONE DEI VACCINI L'EUROPA SI RICOMPATTA - PER AIUTARE I PAESI POVERI NON BASTA LA LIBERALIZZAZIONE DEI BREVETTI, SERVE ANCHE AUMENTARE LA CAPACITA' PRODUTTIVA E RIMUOVERE LE RESTRIZIONI ALL'EXPORT (CHIEDERE AGLI AMERICANI) - LA MEDIAZIONE DI DRAGHI: "LA LIBERALIZZAZIONE DEVE ESSERE TEMPORANEA. LE CASE FARMACEUTICHE HANNO RICEVUTO FINANZIAMENTI ENORMI DAI GOVERNI, E' ORA CHE NE RESTITUISCANO UNA PARTE A CHI NE HA BISOGNO"
1 - BREVETTI, LA TERZA VIA EUROPEA "LA MOSSA DI BIDEN NON BASTA"
Marco Bresolin per “la Stampa”
Dopo il disorientamento seguito al passo in avanti di Joe Biden sui brevetti per i vaccini, l'Unione europea prova a ricompattarsi attorno a due concetti chiave: la liberalizzazione dei brevetti non è uno strumento sufficiente per risolvere i problemi di approvvigionamento dei Paesi poveri e gli Stati Uniti, se vogliono rendersi utili al Pianeta, la smettano di bloccare le esportazioni.
È stato un po' questo il refrain risuonato a margine del summit sociale di Porto e durante la cena tra i leader europei. Ursula von der Leyen, che già giovedì aveva fatto un'apertura piuttosto timida, continua a ripetere che «bisogna essere pronti alla discussione».
Ma senza dimenticare alcune cose fondamentali: «La liberalizzazione dei brevetti non risolverà i problemi nel breve-medio periodo, non aggiungerà una singola dose - ha spiegato la presidente della Commissione europea -. E invece i vaccini servono adesso».
La proposta di Joe Biden - spiega una fonte diplomatica - viene considerata come «una mossa con un forte impatto emotivo sull'opinione pubblica, che rischia però di essere scarsamente efficace». Ci vorranno almeno sei mesi, o forse un anno, per raggiungere un consenso all'Organizzazione mondiale del commercio (Wto): troppo tardi, bisogna agire nell'immediato.
Inoltre bisogna mettere in conto i rischi legati al fatto che per produrli bisogna seguire procedure molto complesse: senza un adeguato know-how si rischiano di fare danni. Infine, ricorda una fonte Ue, «i vaccini a mRna sono coperti da 80-100 brevetti, ognuno dei quali riguarda un particolare componente».
Macron corregge il tiro La liberalizzazione è dunque un procedimento decisamente complicato e ricco di implicazioni. Politiche, tecniche e giuridiche. Per questo anche Emmanuel Macron ha un po' rivisto la sua posizione rispetto al giorno precedente: «Sin dall'inizio della pandemia noi europei ci battiamo affinché il vaccino sia un bene pubblico mondiale - ha detto arrivando a Porto -, ma il problema non è la proprietà intellettuale. Perché molti laboratori non saprebbero che farsene».
Secondo Macron sono due le strade sulle quali muoversi con priorità: «Occorre donare le dosi ai Paesi bisognosi e non bisogna bloccare l'export come hanno fatto gli anglosassoni».
La capacità produttiva «Dobbiamo investire in capacità produttiva - insiste von der Leyen -. Non soltanto in Europa, ma anche in Africa». E la presidente della Commissione ha ricordato ancora una volta che l'Unione europea «ha esportato il 50 per cento della sua produzione verso 90 Paesi, incluso Covax. Adesso lo facciano anche gli altri».
Charles Michel ha parlato di una «terza via» da seguire, sulla scia di quanto proposto da Ngozi Okonjo-Iweala. «Per risolvere il problema dell'iniquità dei vaccini ci sono diversi fattori - ha detto la direttrice generale della Wto -. Uno è la rimozione delle restrizioni all'export, uno è l'aumento della capacità produttiva e infine ci sono la questione dei brevetti e della capacità tecnologica».
2 - DRAGHI VESTE I PANNI DEL MEDIATORE: “LIBERALIZZAZIONE, MA TEMPORANEA”
Alessandro Barbera e Marco Bresolin per “la Stampa”
Primo: un meccanismo europeo, complementare al piano Covax, per condividere i vaccini con gli Stati che più ne hanno bisogno. Secondo: l'aumento della capacità produttiva globale, da portare avanti anche con finanziamenti pubblici, convincendo le case farmaceutiche a condividere volontariamente il loro know-how. Terzo: un sostegno logistico ai Paesi poveri per aiutarli nello stoccaggio e nella distribuzione dei farmaci. E quarto: rimozione delle barriere commerciali e dei blocchi all'export.
Sono questi gli input arrivati ieri dai 27 leader europei durante la cena al summit di Porto e che ora la Commissione tradurrà in un piano d'azione per «riaffermare il ruolo di leadership globale dell'Unione nella gestione della pandemia», come hanno scritto in una lettera indirizzata a Ursula von der Leyen i leader di Belgio, Spagna, Svezia, Francia e Danimarca.
Mario Draghi ha aperto alla possibilità di liberalizzare i brevetti, ma con una serie di subordinate. Dovrebbe trattarsi di una misura «temporanea» che dovrà tenere in considerazione gli aspetti legati alla sicurezza e alla complessità del processo produttivo.
Durante il suo intervento ha anche lanciato una stoccata alle case farmaceutiche: «Hanno ricevuto finanziamenti enormi dai governi - questo in sostanza il suo ragionamento - e dunque ora è arrivato il momento che ne restituiscano una parte ha chi ha bisogno».
Draghi si è seduto per la prima volta al tavolo del Consiglio europeo nelle vesti di premier. Non era mai successo, visto che i suoi precedenti summit da capo del governo si erano tenuti tutti in videoconferenza. E nel suo esordio si è subito trovato a vestire i panni del mediatore, ruolo che una volta apparteneva di diritto ad Angela Merkel.
Ma a Porto non è andata così per due motivi. Prima di tutto perché durante la cena di ieri sera la Cancelliera non era nella sala del Palacio de Cristal con gli altri leader, bensì a Berlino collegata in video come il collega Mark Rutte e il maltese Robert Abela. Un formato del tutto inedito.
L'altro motivo è che Merkel si è presentata al vertice con una posizione piuttosto estrema, di netta contrarietà rispetto alla proposta americana. Emmanuel Macron, invece, alla vigilia del summit aveva accolto con entusiasmo l'appello della Casa Bianca, salvo correggere il tiro. Il presidente francese è già in clima elettorale, per questo un tema estremamente popolare come quello della condivisione dei brevetti è un'onda su cui surfare. Ieri Mario Draghi ha parlato con il capo dell'Eliseo, proprio con l'obiettivo di riavvicinare la sua posizione a quella di Merkel.
Il premier ha detto ai colleghi che bisogna aumentare la produzione in ogni parte d'Europa e si è aggiunto al coro di chi chiede agli altri Paesi di sbloccare le esportazioni. «In questo contesto - avrebbe riferito durante la cena - vedo con favore la proposta del presidente Biden».
Un'apertura che in realtà nasconde una stoccata all'inquilino della Casa Bianca, visto che gli Usa non esportano. E che comunque arriva con una serie di «ma». Perché la liberalizzazione dei brevetti dovrebbe essere «ben congegnata e temporanea»: questo - secondo l'ex numero uno della Bce - eviterebbe di disincentivare l'industria farmaceutica, ma a patto che il piano affronti tutte le questioni legate «alla sicurezza della produzione e all'incredibile complessità del processo produttivo».
Una cosa è certa: pur avendo colto di sorpresa l'Unione, sulle prime impreparata e divisa, la fuga in avanti americana è servita per affrontare una questione cruciale. Dopo aver acquistato abbastanza vaccini per i propri cittadini, ora bisogna pensare a mettere al sicuro il resto del mondo. Secondo un documento circolato durante la cena «servono 11 miliardi di vaccini per immunizzare il 70% della popolazione mondiale». Oggi la capacità produttiva su scala globale è solo di 7-8 miliardi di dosi l'anno.
Va raddoppiata e per farlo - ragiona un alto funzionario europeo che chiede di non essere citato - «dobbiamo lavorare con le case farmaceutiche e non contro di loro. Finora non abbiamo alcuna prova che la capacità produttiva sia stata limitata a causa della protezione della proprietà intellettuale. Non sono i brevetti il collo di bottiglia».