1. LE IMMAGINI DELLA CAPORETTO BRASILIANA: PIÙ CHE DOLORE, DISPERAZIONE E INCREDULITÀ 2. E ORA? COME REAGIRÀ IL GIGANTE ATTERRATO? CHE SARÀ DEL MONDIALE ORA CHE IL BRASILE NON C’È PIÙ? ORA CHE IL MONDIALE DIVENTA UN FATTO ALTRUI, UN AFFARE TRA TEDESCHI E ARGENTINI (OD OLANDESI), UN BUSINESS PER LA FIFA DEL DETESTATO BLATTER? 3. E SE IN FINALE ANDRANNO GLI ARGENTINI DI MESSI, GIÀ ACCAMPATI IRRIDENTI ALLA PERIFERIA DI RIO E DI SAN PAOLO, L’UMORE DEL PAESE È DESTINATO, SE POSSIBILE, A PEGGIORARE 4. LA REAZIONE DEL PAESE È UN’INCOGNITA. LE GRANDI PROTESTE ANNUNCIATE ALLA VIGILIA FINORA NON SI SONO VISTE. MA L’ATMOSFERA IN QUESTO MESE NON È MAI STATA DI EUFORIA E DI ENTUSIASMO; PREVALEVA L’IDEA CHE IL BRASILE FOSSE LA QUINTA TEATRALE DI UNO SPETTACOLO ALTRUI, PAGATO DA CONTRIBUENTI LOCALI CHE AVREBBERO SPESO VOLENTIERI I LORO SOLDI IN SCUOLE E OSPEDALI ANZICHÉ IN STADI E CENTRI STAMPA
Aldo Cazzullo per “Il Corriere della Sera”
E ora? Come reagirà il gigante atterrato? Che sarà del Mondiale ora che il Brasile non c’è più? Ora che sullo 0-6 i tifosi cominciano a piangere e a sfollare? Che succederà, ora che sullo 0-7 i brasiliani applaudono e i tedeschi, dopo aver ballato e cantato, per pudore tacciono?
Adesso che, sul gol di Oscar dell’1-7, lo stadio prima esulta e subito dopo fischia, mentre i tedeschi scandiscono «Brasil-Brasil»? Adesso che si sentono di nuovo i cori della partita inaugurale — «Ehi, Dilma, vai tomar no cu» — con cui era stata mandata a quel paese la Presidenta Roussef? Ora che il Mondiale diventa un fatto altrui, un affare tra tedeschi e argentini (od olandesi nella migliore delle ipotesi), un business per la Fifa del detestato Blatter?
Come reagiranno i brasiliani, ancora non lo sappiamo. Si può raccontare come hanno reagito gli spettatori del Mineirao di Belo Horizonte: con dolore e lacrime, ma anche con dignità e rispetto verso l’avversario. E con i fischi per la propria squadra, meritati, vista la presunzione con cui è entrata in campo e di fatto ne è subito uscita, travolta dalla Germania nella più squilibrata semifinale della storia. Una sconfitta destinata a sostituire il «maracanazo» del 1950 nell’elenco delle catastrofi nazionali; non a caso già si parla di «mineirazo».
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Per la prima volta la Seleçao giocava contro i favori del pronostico, in teoria con meno pressione; ma la spinta emotiva di un pubblico, di un popolo, di un Paese non è riuscita a colmare la differenza tecnica rispetto ai tedeschi. Anzi, al primo gol la squadra è crollata, ha perso la testa, con David Luiz che saliva a fare il centravanti lasciando il povero Dante da solo contro i compagni del Bayern, e i tifosi soli con la propria disperazione. Qualcuno chiama casa con il telefonino, per sentire una voce amica. Il silenzio dello stadio lo consente.
La serata è tutta dentro due cori. Quello di apertura: lo stadio canta l’inno anche dopo la fine della musica, uno spettacolo da brivido, una carica emotiva da toccare con mano. E quello sentito alla fine: «Sono brasiliano, con molto orgoglio, con molto amore» intona la folla delusa ma ancora viva, capace anche di applaudire i tedeschi che vanno al Maracanà, in finale, relegando i padroni di casa all’inutile finalina di Brasilia.
Scolari deve togliere Fred, beccato dal pubblico. Alla fine abbraccia i suoi, consola Oscar in lacrime, quasi lo trascina fuori dal campo. L’ultimo a uscire è David Luiz: Thiago Silva lo abbraccia, spinge via l’addetto stampa che vorrebbe portarlo davanti alle telecamere per l’intervista: «Chiedo perdono a tutti i brasiliani... ». Le altre volte, i calciatori brasiliani avevano pianto di tensione e di felicità. Ora sono lacrime di vergogna e di umiliazione.
All’uscita dagli spogliatoi, due ore dopo il fischio finale, tutti a capo chino. Il più loquace è ancora David Luiz: «Era la partita più importante della nostra vita. Volevamo regalare allegria e orgoglio ai nostri compatrioti. Invece abbiamo beccato 4 gol in un quarto d’ora. Loro sono stati migliori di noi». Müller cerca di tirar su il morale ai cronisti brasiliani, distrutti: «Boa noite!». Schürrle, l’autore degli ultimi due gol, sintetizza: «Crazy night», una notte folle, irripetibile.
Oggi comincerà il processo alla squadra, in particolare a Luiz Felipe Scolari detto Felipao, cui toccava il difficile compito di riorganizzare la squadra senza i due calciatori di sicura classe mondiale, il capitano Thiago Silva e il numero 10 Neymar. Con una scelta geopolitica ha puntato su Bernard, 21 anni, idolo locale perché cresciuto nell’Atletico Mineiro, prima di emigrare un anno fa in Ucraina, nello Shakhtar Donetzk.
Il pubblico ha apprezzato, all’inizio. Ma così il Brasile ha affrontato una squadra più forte sbilanciato in avanti ed esposto al contropiede dei tedeschi, che a un certo punto hanno anche rinunciato a infierire. Ripensate alla fine, le scene viste all’inizio possono sembrare patetiche: i verdeoro che entrano in campo tenendo il braccio l’uno sulla spalla dell’altro, tipo i fanti inglesi della Grande Guerra accecati a Ypres; David Luiz che leva le braccia al cielo, poi alza la maglietta di Neymar, neanche fosse morto; anche Fred spalanca le braccia per invocare la benedizione divina; Hulk prega sommessamente.
Troppa emotività è stata inutile e controproducente. Scolari parla di continuo con l’arbitro, chiede ammonizioni, tenta di sollevare i suoi sullo 0-1. Poi si placa. Alla fine si proclamerà principale responsabile e invocherà anche lui il perdono del popolo. Che potrebbe prendersela, più che con la Seleçao, con tutti gli altri: la Fifa, gli argentini, Dilma che a questo punto difficilmente si farà vedere domenica al Maracanà, come aveva annunciato.
La reazione del Paese è un’incognita. Le grandi proteste annunciate alla vigilia finora non si sono viste. Ma l’atmosfera in questo mese non è mai stata di euforia e di entusiasmo; prevaleva l’idea che il Brasile fosse la quinta teatrale di uno spettacolo altrui, pagato da contribuenti locali che avrebbero speso volentieri i loro soldi in scuole e ospedali anziché in stadi e centri stampa.
Il tifo per la nazionale aveva riunificato la nazione, riappacificato sostenitori e oppositori della «Copa», e concentrato l’emozione collettiva sul calcio, in un’alternanza di paura, sollievo — dopo i rigori contro il Cile —, gioia angosciata — dopo a vittoria sulla Colombia e l’infortunio di Neymar —, speranza e ora delusione. La Seleçao è fuori. E se in finale andranno gli argentini, già accampati alla periferia di Rio e di San Paolo, l’umore del Paese è destinato, se possibile, a peggiorare.